La vita vera come ispirazione per la propria musica: Cordio si racconta

Milano. I latini utilizzavano il termine “cor – cordis” per indicare il cuore, quel muscolo incastrato al centro del nostro petto da cui si dipanano le emozioni. Questo parallelo ci appare significativo in relazione al cognome di Cordio, giovane cantautore catanese che riesce a trasformare le vibrazioni del cuore in parole. Classe 1995, Pierfrancesco (questo il suo nome di battesimo) si è innamorato della musica da piccolissimo ma l’illuminazione, la scintilla che gli ha fatto comprendere quale sarebbe stata la sua strada, è giunta successivamente. Poco più che maggiorenne sceglie di trasferirsi a Milano per inseguire il suo sogno: frequenta il Centro Professionale di Musica e si dedica allo studio del pianoforte presso la Scuola Civica “Claudio Abbado”. Ma è l’incontro con Ermal Meta che imprime una svolta al suo destino, un sodalizio umano prima che artistico, un affetto profondo che ricorda fortemente il rapporto tra due fratelli in cui il più grande indica al minore la strada maestra, il faro da seguire. E il sorriso nella voce di Pierfrancesco quando parla di lui ne è la conferma.

Il nome di Cordio inizia a circolare sempre più insistentemente proprio durante i concerti di Ermal, sia nel corso del “Vietato Morire Tour” (2017) sia durante il “Non Abbiamo Armi Tour” (2018), perché Pierfrancesco ha aperto tantissimi live del suo mentore, calcando palchi prestigiosi della nostra penisola fino ad arrivare al tour invernale che ha visto Ermal e gli Gnu Quartet esibirsi in alcuni tra i teatri più belli e ricchi di storia dello stivale.
Cordio ha saputo farsi strada un passo alla volta, con discrezione, senza eccessi. La sua musica identifica la sua persona e si caratterizza per la scelta accurata dei termini e per la dolcezza delle note che riescono a creare un’atmosfera elegante, di profondo impatto. Agli inizi di maggio è comparso in rete il video di “Angoli e Spigoli”, una walking session composta da voce e chitarra, mentre per l’estate Cordio ha scelto di essere presente con “Almeno tu ricordati di me”: nulla a che vedere con i tormentoni estivi (per fortuna, aggiungiamo!) bensì una ballad malinconica e struggente che non rifugge il ritmo e, come spiega l’artista, nasce con “la speranza di continuare a vivere nei ricordi di chi ha condiviso con me un pezzo di strada”.
Abbiamo raggiunto telefonicamente Cordio nei giorni scorsi durante un fresco pomeriggio estivo, scoprendo un artista sensibile ed un abile conversatore. Ecco la nostra intervista.

Quando hai compreso che la musica sarebbe diventata il tuo mestiere?
È accaduto qualche anno fa durante un concerto in Sicilia. Ero all’ “Indigeno Festival” dove si esibivano artisti come Levante e Colapesce mentre la chiusura era affidata a Niccolò Fabi. Ricordo che quella sera pensai che non volevo più stare dalla parte del pubblico. Già scrivevo canzoni perché ho iniziato da piccolo ma il momento in cui ho deciso quale sarebbe stata la mia strada è stato proprio quello. Dissi a me stesso: “Piuttosto monto i palchi ma voglio far parte di quel mondo!”.
In realtà sono stato fortunato perché non sono mai stato dietro le quinte, in quanto mentre studiavo musica in Conservatorio si è prospettata l’idea di fare un disco con Ermal e poi la Mescal si è interessata al progetto, per cui sono stato coinvolto in questa grande famiglia.

Ascoltando i tuoi testi, come “La nostra vita” che hai portato a Sanremo Giovani, e “Almeno tu ricordati di me”, l’ultimo singolo, si ha la chiara impressione che tu sia un giovane uomo dall’animo molto sensibile. Raccontaci, da cosa nasce l’ispirazione per i tuoi brani?
Principalmente dalla mia vita, non mi è ancora successo di raccontare storie che non mi riguardano. Mogol diceva di non avere fantasia ed io credo di aver capito il suo pensiero, ovvero non invento cose che non vedo, che non vivo. Le mie canzoni nascono dallo stomaco così come l’urgenza di esprimere mediante quella forma qualcosa che mi sta attraversando. È il mio modo per comunicare, per sigillare certe esperienze che altrimenti perderei.

Ti lega ad Ermal una bella amicizia oltre che un sodalizio artistico, hai infatti aperto moltissimi suoi concerti a partire dal 2017. Come ti ha arricchito, umanamente e artisticamente, la sua conoscenza?
Questa è una bella domanda! Avere un rapporto così confidenziale con una persona del genere è indubbiamente un grande privilegio perché Ermal è un po’ speciale. Non credo che gli artisti siano persone migliori delle altre ma Ermal è diverso. Lui ha un diamante in mezzo al cuore ed è anche più speciale di quello che sembra. Per me è proprio un amico, un fratello maggiore, ed ha un forte istinto di protezione nei miei confronti. Mi ha preso a cuore in un modo inspiegabile, soprattutto se pensi che quando ci siamo conosciuti non avevo mezza canzone decente, avevo solo bisogno di crescere. Nel primo incontro lui mi disse una cosa che non dimenticherò mai: “Hai una luce negli occhi”. Ed ha intuito che potevo essere in grado di tirare fuori qualcosa.

Sappiamo che stai lavorando al tuo primo album e che l’uscita è prevista per i prossimi mesi. Al suo interno troveremo il Cordio conosciuto finora o ci attende qualche sorpresa musicalmente parlando?
In realtà spero che questo disco sia una buona sorpresa. Troverete canzoni che non ho mai suonato ai concerti e che non sono state mai pubblicate. I brani usciti finora sono una foto abbastanza precisa di ciò che ci sarà nell’album, una decina di canzoni molto autobiografiche.

Tu sei siciliano e per inseguire il tuo sogno hai scelto di trasferirti a Milano. Una condizione comune a molti giovani oggi, spesso costretti ad allontanarsi dalle proprie radici. È stato difficile per te lasciare gli affetti e, se sì, a cosa ti aggrappi quando la nostalgia diventa più forte?
Andare via dalla Sicilia è stata una scelta voluta perché sentivo che nella mia vita avevo bisogno di fare quel passo. Avevo 19 anni e andare a vivere da solo in un’altra città era un’esperienza che volevo fare per cui non la racconterei con sofferenza. Inevitabilmente la separazione dalla famiglia ha quella nostalgia intrinseca perché c’è un distacco da quello che hai sempre vissuto. A cosa mi aggrappo? A nulla. Quando la nostalgia mi assale allora la vivo e ne traggo ispirazione.

Hai avuto occasione di esibirti in diversi contesti per cui ti chiedo: quale senti più congeniale a te? I grandi spazi oppure i palchi più intimi e raccolti tipici dei teatri?
I teatri, assolutamente. Non penso che farò mai un tour nei palasport perché tendo a scrivere canzoni discrete come attitudine. Si può dire che mi somiglino, non alzano la voce. Anche nella vita, quando mi arrabbio, non grido mai. Sono una persona pacata, fin troppo secondo alcuni.

Qual è il tuo rapporto con i fan?
È molto sincero, a me piace incontrarli dopo i concerti, conoscerli meglio e chiedere loro perché mi viene rivolto un determinato complimento: credo molto in questa forma di rapporto. Quando il tuo progetto artistico passa attraverso la televisione non sai mai se si tratti di una semplice suggestione perché hai avuto una visibilità mediatica forte o se stai lasciando qualcosa agli altri. A me piace stringere la mano di chi ho di fronte, guardarlo negli occhi, ecco perché non amo la richiesta di una foto fine a se stessa, preferisco che mi venga chiesta dopo che ci siamo scambiati qualche parola. Ti faccio un esempio: se dovessi incontrare De Gregori non so se andrei a salutarlo perché l’essere umano è diverso dalle canzoni, quelle ti accompagnano per tutta la vita mentre l’uomo prima o poi andrà via. Mi sono avvicinato poche volte ad un artista che stimavo: ricordo che incontrai Ermal in spiaggia e mi avvicinai per ringraziarlo perché le sue canzoni erano state importanti per me. Fu un momento velocissimo durante il quale volli restituirgli qualcosa di prezioso che lui, inconsapevolmente, mi aveva donato.

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