Il valore del “Tre”, considerazioni a margine del capolavoro di Valerie Pérrin

Roma. Il tre è da sempre considerato il numero perfetto, l’entità che riunisce, unifica e aggrega. Nel Cristianesimo simboleggia la Trinità, nella filosofia cinese la totalità cosmica composta da cielo, terra e uomo. Dante lo elegge a simbolo cardine dell’intera Divina Commedia: tre cantiche, trentatré canti, nove gironi infernali.
Nel libro “Tre” di Valerie Pérrin, che da settimane domina le classifiche di best-seller nelle librerie di tutto il mondo, non rappresenta né perfezione, né unità o concordia.
Simboleggia un rapporto ormai disgregato, rovinato e persino dimenticato. Tre amici che una volta pensavano di rimanere uniti per sempre, e che invece la brutalità della vita ha allontanato, cambiato e resi talmente diversi da non riconoscersi più.
Étienne, Nina e Adrien, i nostri personaggi, rimangono però, irrimediabilmente e controvoglia, uniti da un fil rouge: i loro ricordi. Quelli che Valerie Pérrin ci porta a scoprire nella sua opera riavvolgendo il filo da cima a fondo, partendo da quando i nostri sfaccendati e malconci protagonisti si sono incontrati, passando dai momenti in cui si sono persi, per poi arrivare a quando si ritrovano uniti ancora più intimamente di prima.
“Tre” è una storia di mancanze, di solitudine, di rabbia, di incomprensione, ma anche di amore. Di un amore che, in tutte le sue forme, rimane la forza più coesiva di tutte.
Il rapporto che si instaura tra i protagonisti quando si incontrano, in quinta elementare, sembra scaturito dalle lacune che ognuno di loro si porta dietro: per Étienne sono l’amore e le attenzioni che il padre, da sempre concentrato sul fratello maggiore, sembra incapace di dedicargli. Per Nina, che vive sola con il nonno, è quella mamma di cui non sa niente, che non ha mai conosciuto, e di cui nessuno sembra voler parlare. Per Adrien è quel signore che vive beatamente con la sua famiglia a Parigi non curandosi del figlio che ha lasciato a La Comelle, paesino nel centro della Francia.
I tre amici si fanno una promessa: quella di non separarsi mai. E, per i primi dieci anni della loro amicizia, mantengono fedelmente quella promessa, condividono tutto: giornate in piscina, infiniti pomeriggi passati l’uno nella camera dell’altro a sentire musica e a provare a suonarla, i primi amori, whisky e coca, notti in discoteca e visioni di un futuro non così tanto lontano nella magica città di Parigi.
Ossessionati dal disprezzo per il microcosmo che è La Comelle e infiammati dalla voglia di lasciarsela alle spalle, per farlo i nostri personaggi sacrificano tutto, fino ad esaurire anche ciò a cui tengono di più: il loro legame.
È curioso che però, vent’anni dopo, siano proprio le vicende del loro paesino natale, tra cui spicca il ritrovamento di una macchina nel lago limitrofo, a farli ritrovare.
Proprio per questo possiamo affermare che “Tre” è un romanzo non solo di formazione e di crescita ma anche, se non soprattutto, di ritorno alle proprie radici che, per quanto odiate e disprezzate, perse e poi ritrovate, sono ciò che ci rende unici.
Valerie Pérrin dona la parola a un personaggio, Virginie, la nostra voce narrante, il cui ruolo in questa storia rimarrà fino all’ultimo indecifrabile: una giornalista con un caschetto di capelli nero con qualche filo bianco che sembra conoscere solo di vista i nostri personaggi eppure ne sa raccontare anche i più intimi segreti.
Sarà solo quando verrà sollevato l’ultimo velo di Maya, l’identità di Virginie, che il lettore sarà capace di comprendere la portata di quest’opera.
Una delle mansioni più importanti che ogni arte, per considerarsi tale, deve portare a termine è quella di farci immergere a tal punto in ciò che rappresenta da illuderci di farne davvero parte. La letteratura forse, in questo ambito, è la più efficace per il rapporto che riesce a creare tra la storia che racconta e chi ha voglia di capirla fino in fondo.
Nella lettura, il fruitore attento si immedesima lasciandosi dietro remore e distrazioni, paure e preoccupazioni e anche quei pregiudizi che gli offuscano e confondono così tanto lo sguardo nella vita di tutti i giorni.
Questo compito, o per meglio dire l’efficacia con cui l’autrice lo porta a termine, è la ragione per cui è così importante, almeno una volta nella vita, leggere un romanzo di formazione come “Tre”. Magari per sentirvi meno soli o per ritrovare nelle pagine di un libro un alleato che vi aiuti ad affrontare le difficoltà di tutti i giorni. Per mettervi nei panni di chi incontrate lungo il vostro cammino, senza sentirvi in dovere di giudicare la sua storia.
Per comprendere veramente voi stessi e per accettare gli altri, perché vi assicuro che in “Tre” c’è almeno un tassello del puzzle di ognuno di voi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site is protected by reCAPTCHA and the Google Privacy Policy and Terms of Service apply.