“Mare in cento parole” è il segno di un’estate italiana firmata “L’Erudita”

Roma. “L’estate sta finendo” cantavano i fratelli Righeira, con una certa ironia, all’inizio della stagione estiva del 1985, ma il “Mare in cento parole” continua ad essere il protagonista indiscusso del progetto editoriale firmato “L’Erudita”, il marchio che fa capo a Giulio Perrone Editore. Si tratta di un’antologia, un esperimento di scrittura creativa ormai collaudato, lanciato dalla casa editrice romana ben nota nel panorama dell’editoria indipendente. L’obiettivo è quello “di mettersi in gioco ed esplorare le possibilità del racconto breve, anzi brevissimo”, si legge nella quarta di copertina. Centosettantasette autori si gettano in questa piccola grande sfida, ognuno con la propria voce, l’io-narrante diverso come diverso è il registro emotivo che anima queste pagine fatte di ricordi, di sensazioni, di visioni, di esperienze e nostalgie, consumate in un tempo altro delle estati italiane.

Racconti che si lasciano leggere e amare nella scoperta di un linguaggio nuovo, confidenziale e intimo per alcuni, sorprendente per altri, nella direzione della scrittura civile come avviene per la triade d’autore rappresentata da Ciervo, Miggiano e Guerriero, i quali trasmettono al lettore un’ottica privilegiata e inusuale, quella del Mar Mediterraneo.

Michele Jr. Ciervo dà conto in chiave narrante delle incurie dell’uomo perpetrate ai suoi danni, pertanto, l’autore scrive “il mare decise di ribellarsi (…), proprio per questo, decise di lasciare la sua forma solida e il suo livello incominciò ad alzarsi (…)”; si parla di “Quel mare che unisce due sponde, la nostra (ricca, opulenta) e la loro (povera, affamata e in guerra). “Solcando quel mare” – prosegue Miggiano – “vennero i miei avi naviganti”, in un connubio che lega l’autobiografico alla questione dei migranti, perenne emergenza umanitaria; infine, è la voce del “Mare nostrum” nelle parole di Guerriero che declina il racconto in prima persona: “Ero presente nelle agende politiche di tutti i potenti della terra (…), sempre più avvelenato, rischiavo di compromettere l’ecosistema che albergava tra le mie larghe sponde (…), ero terrorizzato da quel plurale femminile: microplastiche”.

Vi sono altresì fotografie di parole lungo queste pagine che donano al lettore una visione fluttuante e sonora, come sonoro è il fragore delle onde nel racconto di Gisella Di Sciullo che accompagna chi legge nell’estate di Lina, la sua protagonista, perduta in un’istante di malinconia, sopra “uno scoglio piatto, ad osservare i colori del tramonto; giallo, arancio e viola, i riflessi si specchiavano nel mare”. Scorrendo l’antologia è possibile farsi cullare dalla scrittura soave di Maria Paola Puoti che ci fa immergere in una dimensione poetica della parola attraverso la sua “Liquida visione” facciamo conoscenza di “Un frullare timido d’ali a solleticare la pelle increspata dell’onde”. Come se pensare al mare porti con sé anche quelle “Eterne promesse d’amanti disciolte in scie spumose di sogni dispersi”; all’autrice fa eco un’altra che racconta di un addio, quello tra Matteo e Giulia, i quali “ancora insieme, ma già lontani, sul crinale di quella ripida scogliera andina” consegnavano la loro storia all’oblio.

Insomma, sogno, ricordo, mito ispirano gli autori della raccolta editoriale, nella quale il mare si palesa con un volto diverso ma sempre capace di esprimere cosa resta nella mente e nel cuore di un tema cardine, figlio di un’antica tradizione letteraria.

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