Lucio Dalla, al MANN rivive il sogno napoletano dell’artista bolognese

Napoli. Il 4 marzo di quest’anno Lucio Dalla avrebbe festeggiato i suoi 80 anni, un compleanno importante per un uomo che ha tratteggiato con eclettismo la storia della musica italiana. Ma è andata diversamente: Lucio, infatti, ci ha lasciati 11 anni fa privandoci del suo genio ma, al contempo, consegnando al pubblico un’eredità artistica che trova ben pochi precedenti.
È da questa riflessione che scaturisce la mostra inaugurata al MANN, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, lo scorso 4 marzo e visitabile fino al 25 giugno: la città di Partenope è stata una seconda dimora per il cantautore bolognese e questo legame non poteva non essere celebrato. L’amore di Dalla per Napoli e per la penisola sorrentina ha sempre avuto il sapore di un sentimento viscerale, autentico, totalmente ricambiato e mai sopito.
La mostra, promossa dal MANN e dalla Fondazione Lucio Dalla con il Ministero della Cultura, in collaborazione e con il sostegno della Regione Campania e della Fondazione Campania dei Festival, è organizzata e prodotta da C.O.R., Creare, Organizzare, Realizzare. L’esposizione è curata da Alessandro Nicosia con la Fondazione Lucio Dalla e rientra tra le iniziative de “Il MANN per la città”, vede la partecipazione di Archivio Luce Cinecittà con il patrocinio di RAI e la collaborazione tecnica di SIAE Società Italiana degli Autori e degli Editori, Universal Music Publishing Group, Grand Hotel Vesuvio e BIG|Broker Insurance Group.
Il percorso si configura come un racconto che attraversa ben 50 anni di storia, una narrazione complessa e possibile unicamente grazie alla notevole presenza di materiale documentario e fotografico. Parlare di Lucio non è semplice perché la sua essenza sfuggiva a qualsiasi classificazione umana ed artistica: le dieci sezioni in cui si struttura la mostra traggono origine dalla sua infanzia e dal rapporto con la famiglia per poi snodarsi attraverso il suo incontro con la musica, le esperienze televisive e teatrali e, naturalmente, il suo rapporto con Napoli e con l’amico fraterno Maradona. E così, attraverso fotografie, articoli di giornali, abiti di scena, oggetti da collezione e locandine entrate nella leggenda ritroviamo Lucio, assaporiamo la sua ironia, scopriamo il dolcissimo legame con la madre reso ancora più saldo dalla prematura scomparsa del padre. Conosciamo Lucio bambino e, attraverso il suo sguardo vivace, entriamo nel suo microcosmo, viviamo le estati della sua fanciullezza a Manfredonia quando già in tenera età intratteneva abitanti e turisti.
Le copertine dei dischi ci raccontano i suoi successi musicali e la sua ricca collezione di cappelli ci svela il suo lato frivolo, attento ad uno stile personalissimo. Le foto con Cocciante, De Gregori, Zero ci parlano dei sodalizi artistici spesso sfociati in amicizie durature ma è l’abbraccio con Sophia Loren a catturare lo sguardo del visitatore perché rammenta con un retrogusto velato di malinconia quell’amore per Napoli a cui abbiamo già accennato.
Profonda emozione si avverte nel posare gli occhi sulle prime bozze dei brani iconici di Dalla, “Caruso” su tutti. Le cancellature che attraversano la grafia tondeggiante di Lucio rendono ancora più vivo un testo profondamente sentito: ci sembra quasi di vedere questo piccolo uomo che, seduto alla scrivania di quella stanza in cui aveva soggiornato il celebre tenore, annota come un forsennato le frasi che avrebbero composto una delle canzoni più commoventi della musica italiana mentre le luci della notte punteggiano il golfo di Sorrento. Perché tutto ciò che è stato catturato dallo sguardo attento di Lucio è stato trasformato in testi e melodie scrivendo così una nuova pagina della musica italiana: il suo eclettismo gli ha consentito di appassionarsi anche al teatro – ricordiamo la sua riscrittura di “Tosca” – alla letteratura e persino allo sport e ai motori. Lucio era assetato di vita, sfuggiva a qualsiasi etichetta e gli esiti della sua vivacità mentale gli hanno dato assolutamente ragione.
La mostra “Lucio Dalla. Il sogno di essere napoletano” possiede anche un aspetto umano difficile da riscontrare altrove: se è vero che il racconto personale e professionale di Lucio è totale perché il materiale presente è ricchissimo, è anche vero che l’esposizione trasuda sentimento, perché quell’affetto sincero che l’artista ha provato nei confronti di chi ha lavorato con lui e vissuto al suo fianco è stato intensamente ricambiato e tuttora si alimenta di struggenti ricordi.

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