Lino Guanciale legge per Radio3 i “Dialoghi di profughi” di Bertold Brecht

Roma. “Il 15 giugno anche Radio3 riapre il suo teatro. Per le verità in tutte le lunghe settimane di chiusura lo spazio che la programmazione di Radio3 ha dedicato al mondo del teatro è stato ampio, ancora più del solito. Non per sostituire qualcosa come l’esperienza della rappresentazione dal vivo, la condivisione dello spazio e del tempo che sono il cuore insostituibile dello spettacolo teatrale. Ma per ribadire che il teatro è qualcosa di irrinunciabile, che senza teatro saremmo tutti culturalmente, umanamente più poveri. E per sostenere con ogni mezzo possibile un mondo che vive una fase di tragica difficoltà. Ora Radio3 vuole contribuire a segnare la data del 15 giugno come un nuovo inizio per tutto il mondo del teatro. Senza ignorare nubi e difficoltà che incombono sul suo futuro. Ma per riportare al centro della nostra vita pubblica la bellezza, l’intelligenza, la meraviglia che abita le tavole del palcoscenico teatrale”. – ha dichiarato Marino Sinibaldi, direttore di Rai Radio3.

“A più di due mesi dallo strappo del lockdown, oggi stiamo ripartendo. Con tanti dubbi e preoccupazioni, certo, ma anche con tanta voglia di domani. E per celebrare questo piccolo, ma fondamentale, rito di passaggio, Emilia Romagna Teatro ha istintivamente cercato la complicità degli amici, in primis Radio3 – che con la sua costante presenza, ha contribuito a segnare il tempo dei mesi sospesi che ci stiamo lasciando alle spalle – e Lino Guanciale. Per varcare il limen della riapertura, poi, è parso necessario, ritornare ad un antico amore, il povero B. B., coi raffinati tesori della sua affilata sapienza dialettica, con la sua testarda fiducia nella trasformabilità del mondo a partire dall’uomo, inteso come indefesso agente modificatore e con la sua lucidissima e militante e pervasiva passione teatrale”. – ha aggiunto Claudio Longhi – direttore Emilia Romagna Teatro Fondazione.

“L’emigrazione è la miglior scuola di dialettica. I profughi sono dialettici più perspicaci. Sono profughi in seguito a dei cambiamenti, e il loro unico oggetto di studio è il cambiamento. Essi sono in grado di dedurre i grandi eventi dai minimi accenni, […] e hanno occhi acutissimi per le contraddizioni. Viva la dialettica!”. Memore della propria esperienza dell’esilio, Bertolt Brecht così fotografava, con la consueta lucidità, il rapporto fra discontinuità esistenziale e necessità della metamorfosi, individuando nel soggetto strappato al proprio sistema di abitudini e sicurezze il propulsore ideale del cambiamento politico e culturale.

“Un vero testo della crisi” definisce i “Dialoghi” Lino Guanciale. “Un vero testo generato da uno stato d’emergenza. Una rappresentazione vivida della balìa cui sono soggette le illusioni di stabilità della civiltà occidentale, soprattutto quando esse servono – coscientemente o meno – a nascondere sotto il tappeto le miserie e le fragilità di un mondo abituato a disprezzare la dialettica come strumento di rigenerazione della democrazia. Un testo che molto ha da dire, crediamo, a noi orfani della fine della storia, cui la pandemia ha consegnato l’epifania di una dimensione di precarietà le cui radici – lo stiamo apprendendo con forse troppo colpevole sorpresa – sono in realtà molto più profonde di quanto potesse sembrare.
Il 15 giugno, giorno ormai simbolico per il nostro teatro, tra autorizzazioni all’apertura e difficoltà obiettive di una fase di convivenza col virus cui nessuno può conferire una data di scadenza, la messinscena radiofonica di questo testo ci è parsa opportunamente rappresentativa dell’attuale orizzonte di sospensione e indeterminatezza della scena nazionale. Un orizzonte problematico senza precedenti, cui rispondere con le più varie forme di resistenza estetica e culturale messe a disposizione dalla complessità del linguaggio teatrale, proprio come ci pare avvenga al Brecht di quest’opera”.

La lettura di Guanciale è accompagnata da una partitura di musiche, a cura della violinista Renata Lackó, scelte tanto dal repertorio classico della musica colta europea e da quello più squisitamente brechtiano, quanto dalle sonorità “erranti” della tradizione Yiddish, a significare acusticamente il complesso paesaggio esistenziale e culturale dell’incontro fra i due personaggi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site is protected by reCAPTCHA and the Google Privacy Policy and Terms of Service apply.