“La nuova tonaca di Dio” di Jo Clifford re-intreccia l’atavica trama della storia più antica del mondo

Napoli. Perché la Storia e la Società c’insegnano a essere, inequivocabilmente, uomini oppure donne? Chi ha mai stabilito così nette distinzioni tra i sessi e cosa di più appropriato si applica a ciascuno di essi? È questa la domanda e il punto di partenza del monologo “La nuova tonaca di Dio” (God’s new frock”) di Jo Clifford, che Massimo Di Michele, anche interprete, porta in scena, da giovedì 5 gennaio alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 15), al Teatro Elicantropo di Napoli. L’allestimento, presentato da Artisti Associati Centro di Produzione Teatrale, si avvale della traduzione di Lorenzo Stefano Borgotallo, con i costumi a cura di Alessandro Lai e la scrittura gestuale di Dario La Ferla. L’autrice, con caustica ironia, re-intreccia l’atavica trama della storia più antica del mondo: la nascita del creato. Ma non è esattamente la Genesi che ci è stata raccontata tra gli incensi di una messa, piuttosto, la percezione confusa e surreale che Clifford da bambino ha del racconto biblico. È il perplesso racconto di un Dio che, puntino solo e annoiato perso nel nulla cosmico, crea il mondo con fare da principiante, modellando un uomo dal fango, come fosse un piattino o una tazzina, e creando, poi, Eva, per alleviare la solitudine di Adamo. Stabilisce, una volta cacciati i due dal giardino dell’Eden, che l’uomo dovrà lavorare la terra col sudore della fronte e la donna dovrà partorire con dolore. È la storia di come Dio voglia che l’essere umano sia maschio o femmina, e che tutto quello nel mezzo, invece, non esista. E che buffo, agli occhi di un bambino, sentire questa stessa storia, che insegna agli uomini a fare gli uomini e alle donne a fare le donne, pronunciata da un prete in tonaca lunga, che sembra proprio una lunga sottoveste. Ma questa storia, in fin dei conti, non è tanto buffa. La narrazione segue un percorso ascendente, che culmina nell’iconoclastica accusa a Dio. A ben guardare, la condanna sembra rivolgersi non tanto a Dio nella sua natura spirituale, ma alla visione di Dio che le religioni hanno ideato, alla natura secolare delle sue chiese che lo interpretano alla luce di logiche terrene e parziali. Le “tonache” di Dio che scambiano i propri pensieri per la voce del Signore. Il testo, si chiude con una benedizione che non è tanto la fine di un percorso ma un richiamo al principio, prima che fosse corrotto dalle religioni storiche. Se esiste un peccato originale, esiste ancor prima una benedizione originale, che è lo spirito puro del Divino, dell’Essere. Ma quanto questo divino è frutto dell’uomo stesso? L’opera di creazione in cui l’uomo è co-protagonista non è mai finita, ma continua ogni giorno.

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