Il mito di Frankestein ritorna sulle scene attraverso uno straziante monologo

Milano. “Frankenstein, il racconto del mostro” è un monologo che restituisce tutta la straziante solitudine del mostro narrato da Mary Shelley in una scena dominata dalla presenza e dalla voce di Elio De Capitani e animata dai disegni di Ferdinando Bruni. Lo spettacolo replica, al Chiostro Nina Vinchi, da martedì 2 a giovedì 4 settembre (prima rappresentazione in diretta sul grande schermo di mare culturale urbano). In caso di maltempo, le recite si sposteranno nella sala del Teatro Grassi.

“È la forza dell’intuizione geniale – dice Nadia Fusini nel saggio introduttivo all’edizione Einaudi – a fare di Frankenstein un capolavoro di ogni tempo”. A partire dalla prima pubblicazione del romanzo (1818), la storia del mostro creato in laboratorio ha alimentato un mito che ha attraversato i secoli e alimentato il nostro immaginario collettivo.
“Era da tempo che pensavo a Frankenstein – spiega Elio De Capitani – e nel 2017, a distanza di due secoli esatti da quando fu ideato, mi sono deciso. Perché oggi Frankenstein ci parla più che mai. Oggi, mentre siamo immersi in tensioni emotive davvero laceranti nei riguardi dell’altro, la cui diversità ce lo può far apparire esattamente come un mostro, la creatura di Mary Shelley è in grado di svelare le emozioni più profonde che agitano la nostra epoca, di catturare le contraddizioni di una società in un momento critico della sua esistenza. Com’è proprio dei grandi miti. Il tema di Frankenstein è la bruttezza, la mostruosità fisica, in una creatura potenzialmente dotata di dolcezza infinita, ma portata a un’ira feroce e inarrestabile dalla disperazione: un tema estremo ma illuminante. Il bisogno di far parte della comunità umana non ci tocca se la vista non è appagata? La mia narrazione si concentra sulla parte centrale del romanzo con la restituzione del punto di vista della “creatura”: è qui che Mary Shelley dà direttamente la parola al mostro, costruito nel laboratorio del dottor Frankenstein assemblando pezzi di cadaveri. Uno dei momenti più toccanti del racconto”.
“Se questo romanzo permane nei secoli – continua Nadia Fusini – è perché in esso trionfa il mito, nel senso proprio di racconto. Ovvero, la forza della storia è nell’idea. È così che chi scrive cattura – magari inconsapevolmente, ma tanto maggiore nel caso è la forza dell’intuizione geniale – le tensioni emotive profonde della sua epoca, le contraddizioni di una società in un momento critico della sua esistenza”.

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