Addio alla censura cinematografica mentre le sale restano chiuse

Roma. “Abolita la censura cinematografica, definitivamente superato quel sistema di controlli e interventi che consentiva ancora allo Stato di intervenire sulla libertà degli artisti”. Sono le parole del Ministro della Cultura, Dario Franceschini, che ha firmato in questi giorni il decreto che supera definitivamente la possibilità di censurare le opere cinematografiche in Italia. Si tratta di un intervento ai sensi della ‘Legge Cinema’ del 2016 che istituisce la Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche presso la Direzione Generale Cinema del Ministero della Cultura, con il compito di verificare la corretta classificazione delle opere cinematografiche da parte degli operatori. La nuova Commissione sostituisce quelle che in passato erano state diverse commissioni di un sistema complesso e resterà in carica tre anni: presieduta dal Presidente emerito del Consiglio di Stato, Alessandro Pajno, è composta da quarantanove membri “scelti tra esperti di comprovata professionalità e competenza nel settore cinematografico e negli aspetti pedagogico-educativi connessi alla tutela dei minori o nella comunicazione sociale, nonché designati dalle associazioni dei genitori e dalle associazioni per la protezione degli animali”.
D’ora in avanti, quindi, non sarà più previsto il divieto assoluto di uscita in sala, né sarà possibile una visione condizionata a modifiche o tagli di scene: l’uscita del film sarà garantita e la Commissione potrà al massimo vietarne la visione ai minori. Il decreto attuativo di Franceschini prevede, infatti, un nuovo sistema di classificazione dei film che vengono divisi in quattro categorie: opere adatte a qualsiasi tipo di pubblico, opere non adatte ai minori di anni 6, opere vietate ai minori di anni 14 (a 12 anni compiuti si potrà accedere con un genitore), opere vietate ai minori di anni 18 (a 16 anni compiuti si potrà accedere con un genitore).
In base alle nuove regole a proporre la categoria ritenuta più adeguata per ogni film saranno direttamente i produttori e solo a quel punto la Commissione potrà confermare la categoria o proporne una diversa. Nicola Borrelli, direttore della Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, ha spiegato che di fatto “si mette in essere una sorta di autoregolamentazione” perché “saranno i produttori o i distributori ad autoclassificare l’opera cinematografica” mentre alla Commissione “il compito di validare la congruità”, entro un massimo di 20 giorni.
Un provvedimento che sancisce, finalmente, una definitiva libertà artistica che, nel corso di tanti anni, ha visto purtroppo la condanna di opere, la distruzione di pellicole e i migliori registi messi alla gogna dai guardiani della morale, ma che sopraggiunge anche tardivamente: se in passato, infatti, la censura ha colpito film molto importanti della storia del cinema, limitando sesso e violenza ma proteggendo molto spesso politica e religione, da decenni ormai i provvedimenti più severi erano diventati rarissimi. Senza contare, inoltre, che tutto ciò accade, paradossalmente, mentre le sale cinematografiche sono chiuse da più di un anno a causa della pandemia, con una situazione che diventa sempre più preoccupante e che impedisce di apprezzare pienamente la fine di un sistema anacronistico e obsoleto.

Lo Stato italiano si è sempre riservato la possibilità di intervenire sui contenuti di rappresentazioni pubbliche, offensivi della morale e del buon costume o pericolosi per l’ordine pubblico, ancora prima della nascita del cinematografo. Il primo provvedimento censorio sulle proiezioni risale al 1913, con lo scopo di impedire la rappresentazione di spettacoli osceni o impressionanti o contrari alla decenza, al decoro, all’ordine pubblico, al prestigio delle istituzioni e delle autorità; il successivo regolamento esecutivo imponeva tutta una serie di divieti e prevedeva la presenza di un apposito nulla osta affinché un film potesse essere proiettato. Il regime fascista confermò le disposizioni precedenti eliminando tutto ciò che reputava scomodo attraverso i controlli del Minculpop e utilizzando spesso il cinema a fini di propaganda. Nel dopoguerra anche Giulio Andreotti si occupò di censura in quanto, tra le tante altre cose, fu sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega allo Spettacolo; nel 1962 ci fu nuova legge che, pur eliminando parecchie limitazioni, manteneva la necessità, così come a inizio secolo, di un apposito nulla osta per l’arrivo di un film nei cinema. Fino ad oggi, prima del nuovo decreto, quindi, il sistema di censura cinematografica poteva intervenire nella revisione prima dell’uscita in sala, ma anche nel processo di realizzazione e, addirittura, di ideazione e scrittura: vero è che il concetto stesso di censura e la sua applicazione era già cambiato, divenendo di fatto uno strumento utilizzato soprattutto per la tutela dei minori, ma la sua definitiva abolizione rappresenta un’ulteriore e fondamentale garanzia per la libertà di espressione.
“Censurare è distruggere, o almeno opporsi al processo del reale”, diceva Fellini, e secondo una stima, infatti, dalla sua entrata in vigore, la censura italiana ha bloccato 274 film italiani, 130 film americani e 321 da altri Paesi, su 34.433 opere; un terzo del totale, 10.092 film, è stato invece ammesso dopo modifiche. Moltissimi i casi eclatanti di film che si sono scontrati col sistema censorio e tra i più famosi vi è sicuramente “Ultimo tango a Parigi” di Bernando Bertolucci: uscito nel 1972 e sequestrato poco dopo per “esasperato pansessualismo fine a se stesso”, nel 1976 una sentenza della Corte di Cassazione decretò la distruzione di tutte le copie del film per essere poi riabilitato nel 1987. Ci sono poi “Il pap’occhio” di Renzo Arbore, sequestrato “per vilipendio alla religione cattolica” e archiviato pochi anni dopo; “Totò e Carolina” di Mario Monicelli che subì 82 tagli; “La Spiaggia” di Alberto Lattuada; “Rocco e i suoi fratelli” di Luchino Visconti; “Il cammino della speranza” di Pietro Germi; “La dolce vita” di Federico Fellini fino ad arrivare a Pier Paolo Pasolini, il regista che sicuramente ebbe più problemi con la censura. Tra gli ultimi casi nel 1998, “Totò che visse due volte”, diretto da Daniele Ciprì e Franco Maresco, fu dichiarato “vietato a tutti”, definito “degradante per la dignità del popolo siciliano, del mondo italiano e dell’umanità, offensivo del buon costume, con esplicito disprezzo verso il sentimento religioso” e contenente scene “blasfeme e sacrileghe, intrise di degrado morale”. I registi vennero denunciati per vilipendio alla religione e tentata truffa e solo dopo l’assoluzione in appello il film venne distribuito. Nel 2012, infine, “Morituris”, un “piccolo horror indipendente” diretto da Raffaele Picchio, fu bloccato dalla Commissione di revisione cinematografica “per motivi di offesa al buon costume” e perché considerato “un saggio di perversità e sadismo gratuiti”: si trattava dell’ultimo caso di censura cinematografica.

Finisce così il lungo percorso fatto di divieti e tagli che ha accomunato capolavori del cinema e film più modesti ma, soprattutto, registi coraggiosi che hanno rifiutato i limiti imposti dal potere al loro estro creativo e alla libertà di ogni adulto di scegliere cosa vedere. Mai più nessuno potrà bloccare la distribuzione di un film, oppure apportare modifiche, né tagliare scene perché ritenute offensive o impedire la visione di immagini perché considerate scabrose, come quei baci che, censurati nel corso degli anni, furono salvati e rimontati dal vecchio proiezionista Alfredo per il suo Totò in Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore. Da spettatori di un cinema sempre più libero non resta, adesso, che attendere la riapertura delle sale per immergersi di nuovo in quel denso buio e abbandonarsi a tutte le emozioni che, da oltre un secolo, promanano dal grande schermo.

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