Viaggio nell’immaginazione con “A piacer vostro”

Modena. Con “A piacer vostro” inizia il viaggio di Arte e Salute nella Foresta di Arden, un luogo di simboli, dove le strutture temporali perdono il loro potere e dove la realtà si mescola all’immaginazione. Un luogo che custodisce verità incorruttibili, che non fornisce il senso alla vita ma semplicemente costringe i suoi visitatori a cercare e a riconoscere la loro verità, a cui si arriva sempre dopo un percorso di errori necessari.

Dal 2 al 17 aprile debutta al Teatro Arena del Sole il nuovo spettacolo di Nanni Garella dal titolo “A piacer vostro”, adattamento dell’opera di Shakespeare “As You Like It”, commedia pastorale in versi e in prosa: in scena, insieme al regista stesso, Tamara Balducci, Alessio Genchi, Nicole Guerzoni, Giacomo Stallone e gli attori di Arte e Salute.
Lo spettacolo conferma la lunga e ricca collaborazione tra Emilia Romagna Teatro Fondazione e l’Associazione Arte e Salute Onlus, un’esperienza felice che ha dato alla luce numerose produzioni e tournée in Italia e all’estero.

Un secolo dopo la scoperta delle Americhe, nella crisi del pensiero rinascimentale, l’uomo e la natura non sono più i modelli, reciproci e perfetti, dell’ordine del mondo. Il tempo della natura e il tempo della storia sono incommensurabili; e l’utopia di un centro di gravità fra terra e cielo sembra irrimediabilmente perduta.
C’era una volta, prima di questa frattura, un luogo che generava la forma e il senso di tutti i luoghi visibili. Era sempre una città, dalla Polis di Platone alla Gerusalemme celeste di Sant’Agostino, alla Utopia di Tommaso Moro. Ma viene il tempo della città senza mura e dagli orizzonti interminabili. Vicino a questa nuova città, mondana e commerciale, dalle rovine della utopica Città di Dio cresce La foresta di Arden.

Nel “Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare” essa è un bosco notturno; ne “La tempesta” è un’isola; in “A piacer vostro” è uno specchio che rasserena le brutture di una città fosca e livida.
La foresta di Arden è una foresta di simboli. Vicina, vicinissima al percorso quotidiano degli uomini, li segue o li precede sempre di un passo, come il passato e il futuro. Basta una scossa improvvisa, una spallata a tradimento e si cadrà da giorno a notte, da veglia a sonno, da tempo storico a tempo naturale.
È dunque inutile cercare La Foresta di Arden sulle carte geografiche, perché essa è il mondo o la scena – il che del resto, per Shakespeare e gli elisabettiani, era la stessa cosa: la scena era il mondo e il mondo era la scena. Infatti tutte le atmosfere poetiche, quelle idilliache o quelle tragiche o quelle comiche trovano spazio in quel luogo a pieno titolo; e diventano spietate, concrete, quasi brutali nella loro verità, perché ogni persona o cosa in quel mondo diviene parte di una grandiosa trasfigurazione. È la trasfigurazione delle grandi illusioni rinascimentali – l’utopia filosofica, l’unità fra uomo e natura, l’ordine morale – in una saggezza amara di uomini fragili ma ostinati. È la nascita del nuovo dolorosamente cercata nel mezzo delle cose e della loro terribilità.

La scoperta del nuovo mondo rese la terra vastissima e allo stesso tempo piccolissima di fronte all’universo. Il Tempo della Storia divenne brevissimo di fronte al Tempo della Natura, geologico, un tempo che tutto distrugge e non lascia altro che macerie. In Shakespeare pare che queste due anime del tempo – Tempo della Natura e Tempo della Storia – convivano in un Tempo del Teatro.
La Foresta di Arden racchiude e connette queste figure – o strutture – del tempo; sulla sua mappa le strutture del tempo (passato, presente e futuro) perdono la loro centralità o predominanza, esattamente come il reale perde la propria connotazione di vero, messo a contatto – o in corto circuito – coi suoi specchi fantastici, con le sue rappresentazioni.
La Foresta di Arden è il luogo degli scambi, delle metamorfosi e degli specchi. In essa, nessuna delle tre strutture del tempo è la più importante o la più vera: passato presente e futuro si toccano sulla sua mappa spaziale e si accavallano e si proiettano l’uno sull’altro. Non hanno più, come nella tragedia, il verso o la direzione del destino, che fa viaggiare i personaggi da un passato a un futuro, in tutto o in parte, conosciuti e prevedibili; o, come nella commedia, l’indeterminatezza di un eterno presente. Sono piuttosto strutture conoscitive, veri e propri mezzi – e non più fini – di ricerca della verità; mezzi mai usati prima.

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