Star internazionali sul palco di “Romaeuropa festival”

Roma. Sabato 28 e domenica 29 settembre “Romaeuropa festival” presenta, in collaborazione con La Fondazione Musica per Roma, un weekend in musica dedicato all’incontro tra percorsi e personalità artistiche diverse, all’insegna della sperimentazione tra elettronica, modern classical e minimalismo. In programma i concerti di alcune star internazionali del panorama musicale attuale: Lubomyr Melnyk, Craig Leon, Fernando Corona AKA Murcof & Vanessa Wagner.

Sabato 28 settembre il palco della Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica vedrà alternarsi i concerti di due figure carismatiche: Lubomyr Melnyk e Craig Leon.

Classe 1948, l’ucraino Lubomyr Melnyk, è stato definito “il profeta del piano” ed è considerato l’inventore della continous music, che oggi vanta numerosi eredi tra cui Nils Frahm. Basandosi sul principio di una corrente di suono costante e continua, senza interruzioni, il musicista crea pattern di note rapidissimi, complessi e virtuosi: si parla di una media di 14 note al secondo, con picchi di 19, rapidità che gli ha fatto guadagnare l’appellativo di “pianista più veloce al mondo”. Il suo linguaggio pianistico è a dir poco singolare non solo per la velocità, ma anche per il suo modo di suonare che gli permette di creare un flusso ininterrotto di note (l’uso continuo del pedale di risonanza produce armonici e risonanze). Fallen Trees (alberi caduti) festeggia il suo settantesimo compleanno e vede Melnyk comporre e interpretare brani vibranti ed energici tra la neoclassica e la più rigida impostazione classica, che manifestano il suo amore per l’ecologia.

Craig Leon è l’unico produttore nella storia ad avere contemporaneamente un singolo pop (Maria, dei Blondie) e un album di classica (Libera Me, di Izzy) al numero 1 delle chart inglesi. Il maestro della musica elettronica arriva a “Romaeuropa” con i suoi loop immersivi e ipnotici per presentare insieme alla moglie Cassel Webb l’ultimo progetto discografico The Canon uscito lo scorso aprile. Come A&R della Sire Records, nella seconda metà degli anni Settanta è stato uno dei responsabili del lancio di carriere di artisti come Ramones, Blondie e Suicide, e figura decisiva per l’evoluzione del panorama del punk e della new wave dei decenni a seguire. Parallelamente, Leon ha portato avanti una propria carriera di compositore: il suo iconico album di debutto “Nommos”, pubblicato nel 1981, seguito l’anno dopo da Visiting è un capolavoro dell’elettronica avant-garde che ha sviluppato negli anni un vero e proprio culto grazie alla potenza immaginifica di un suono al confine tra minimalismo, techno primitiva e ipnotiche atmosfere ambient, unita a un’ispirazione legata alla cosmologia della popolazione africana Dogon. Nel 2014 ha raggruppato i suoi due album nel primo volume di “Anthology of Interplanetary Folk Music”, e lo scorso aprile è uscita la prima parte del secondo volume “The Canon”. Se per “Nommos” il musicista si era i ispirato alla civiltà dei Dogon, e alla loro complessa mitologia che faceva dipendere tutte le loro conoscenze dagli insegnamenti dei Nommos, ovvero gli alieni provenienti da Sirio, “The Canon” rappresenta l’evoluzione cronologica della storia che ha ispirato Nommos, qualche migliaio di anni dopo: una sorta di immagine musicale di un viaggio dall’Africa alla Grecia in cui i suoni sono più terreni, più “mediterranei” e le percussioni sono più naturali.

Domenica 29 settembre, il messicano del Nortec Collectiv Fernando Corona AKA Murcof, nome di punta della scena elettronica mondiale, da sempre impegnato nella commistione con la classica contemporanea, incontra la pluripremiata pianista classica francese Vanessa Wagner per portare sul palco “Statea”, progetto discografico con cui i due artisti rileggono nove pagine del Novecento a cavallo tra la classica colta d’avanguardia, il minimalismo e l’elettronica. Tra ambient cinematografica e piano, il repertorio protagonista del live include composizioni di John Cage, Philip Glass, Aphex Twin, Erik Satie, György Ligeti, Morton Feldman, fino ad arrivare a un Arvo Pärt talmente dilatato da assumere un sapore post-rock.

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