Caserta. Il 3 giugno si è tenuta alla Feltrinelli di Caserta la presentazione del libro “Le Sibille” di Vincenza Alfano, moderata da Marilena Lucente e Paolo Miggiano, che hanno portato avanti un dialogo con l’autrice, facendo vivere il libro con le loro parole.
“Le Sibille”, nel racconto, sono due. Nella vita, invece, siamo un po’ tutte. A una sarebbe toccata l’arte, all’altra sarebbe toccata la vita, in parti uguali.
Questa frase è l’eco del patto narrativo che dà voce e struttura al romanzo “Le Sibille”, opera delicata e feroce che intreccia due storie: quella di Costanza, donna “comune” ma non per questo meno emblematica, Emma, la figlia, e quella storicamente nota di Sibilla Aleramo. Un unico grande racconto sulla condizione femminile, sulla scrittura come atto di sopravvivenza e sulla maternità come legame intricato e mai risolto, esplicitato dal rapporto di “dolorosa felicità” tra Emma e Costanza.
Il romanzo si muove tra questi due piani temporali, che si specchiano e si rispondono. Sia Sibilla sia Costanza sono vittime di una società patriarcale, entrambe legate a un figlio, Walter per Sibilla, Emma per Costanza, e costrette a vivere una maternità interrotta, spesso “a distanza”, come se l’amore per non diventare gabbia dovesse necessariamente saper sottostare.
Sibilla Aleramo, pseudonimo di Rina Faccio, è stata una giornalista, scrittrice e poetessa italiana, autrice di “Una donna”, in cui raccontava la condizione femminile in Italia tra il XIX e il XX secolo. Vincenza Alfano spiega il fascino che questa figura le ha sempre procurato, sin da quando l’ha studiata per la prima volta: stima e tenerezza verso una donna che non viene ricordata per la grandezza della sua persona ma per dicerie e menzogne, che macchiano il ricordo di una grande scrittrice. Enza sottolinea, però, che “Le Sibille” non è una biografia sull’Aleramo, è piuttosto un riconoscimento, un filo teso tra le donne del presente e la sua storia: in primis con quelle del suo libro, in particolare Emma, e poi anche con le lettrici.
“Scrivo oggi la pagina peggiore: scelgo di andarmene”. Queste parole hanno dato il via all’incontro e al dibattito su uno dei nuclei più intensi del libro: il gesto disperato (e fallito) di Costanza, che tenta di togliersi la vita. Un volo che apre la narrazione e che subito la ribalta, mettendo al centro la fragilità, l’inadeguatezza sociale, l’assenza di spazio per la libertà delle donne.
Alfano tesse con precisione narrativa e profondità psicologica le vicende delle sue protagoniste. Costanza, donna dei nostri tempi, è stritolata da un matrimonio infelice con Giovanni, musicista egocentrico e violento, e da un ambiente sociale che giudica, isola, etichetta.
“Essere libera non è previsto, peggio ancora se quella libertà la esprimi con la scrittura”. E allora, come Sibilla, anche Costanza deve far fronte ai pregiudizi, alle difficoltà di essere donna, madre, artista.
La forza del romanzo sta nella messa in parallelo di queste due biografie, in parte reali, in parte romanzate, che però raccontano una verità più grande: la storia cambia, i secoli passano, ma le donne che scelgono di raccontarsi restano ancora spesso “colpevoli” di troppo coraggio. La stessa Aleramo, violata da giovanissima e costretta a un matrimonio riparatore, attraversa il testo della Alfano come una guida luminosa, ispirando Emma alla lettura, al riconoscimento, alla comprensione del dolore materno. E guidando noi lettori verso una maggiore consapevolezza.
Nonostante questo Emma si distanzia dalla madre e da Sibilla, che vivevano in funzione della scrittura, ragione di resistenza e di coraggio. Emma sceglie una vita normale, mediocre ma serena.
“Amare e sacrificarsi e soccombere! Questo è il destino suo e di tutte le donne?”. Questa è la domanda di Sibilla, in cui si cela il cuore del libro. “Le Sibille” è un romanzo necessario, perché parla di una condizione che ancora oggi esiste. Vincenza Alfano restituisce voce alle donne che non hanno potuto parlare, a quelle che hanno parlato ma non sono state ascoltate, a quelle che hanno scritto per essere ricordate, per riuscire a resistere. A quelle che hanno scelto di salvarsi e a quelle che non ce l’hanno fatta.
La narrazione è resa ancora più intensa da una lingua limpida e vibrante, che alterna descrizioni poetiche a riflessioni spietate. Non c’è retorica ma pietà. È denuncia, ma con sguardo lucido, profondamente umano. Napoli, verso la fine del romanzo, viene descritta come “inquieta” e si fa paesaggio interiore di chi, come le protagoniste di questo libro, è destinato a non trovare mai un posto comodo nel mondo.
Dalla presentazione il pubblico è uscito “pieno”, perché messo di fronte a una realtà dolorosa. Ci si accorge che, in qualche modo, forse senza volerlo, tutti noi siamo un po’ Emma, un po’ Costanza, un po’ Sibilla. Che la letteratura, quando è vera, ci mette di fronte allo specchio e ci sussurra: anche tu sei una di loro.
La paura di Sibilla Aleramo, spiega l’autrice, era solo una: essere dimenticata, nonostante tutte le parole dette e scritte. E questa frase fa sorridere di un’amara tenerezza. Per questo motivo, alla domanda: “Cosa diresti a Sibilla se avessi la possibilità di parlare con lei?”, l’autrice ha risposto: «Io ho proprio questo desiderio di abbracciarla, di accudirla, e di dirle che per me “è”, che le sue parole sono degne di essere ricordate. Vorrei più confortarla su questo, che è stato il timore della sua vita. Le direi che le sue parole meritano di essere ricordate”.
Crediti foto: Lucia Montanaro.