L’architettura che va in fumo. Intervista al Prof. Ing. Paolo Rigone

Milano. Sono impressionanti le immagini alle quali abbiamo assistito nei giorni scorsi a causa dello spaventoso incendio ai danni della Torre dei Moro, lo skyline milanese sito in via Antonini. Il grattacielo di 18 piani è stato, infatti, avvolto dalle fiamme secondo modalità non dissimili da quelle che nell’estate 2017 hanno coinvolto la Grenfell Tower di Londra. Al fine di indagare, per quanto possibile, le cause scatenanti l’accaduto, da una prospettiva squisitamente tecnica del fatto, abbiamo raggiunto al telefono l’Ingegnere Paolo Rigone, titolare della cattedra di Progettazione dell’Involucro Edilizio presso il Politecnico di Milano.

Dalle fonti si apprende che il rogo ai danni della Torre dei Moro è partito dal 15esimo piano distruggendo progressivamente l’intera facciata. Ci spiega, dal punto di vista tecnico, la dinamica delle fiamme?

A giudicare dalle immagini che abbiamo potuto vedere nei giorni scorsi trasmesse da tutte le televisioni, è probabile che l’incendio si sia sviluppato proprio in prossimità della facciata, in una posizione molto critica e cioè in corrispondenza dei rivestimenti esterni, quasi sicuramente realizzati con pannelli compositi in alluminio con un nucleo in polietilene,  un materiale plastico con caratteristiche di combustibilità.

La particolare forma delle vele esterne, caratterizzata dalla presenza di una intercapedine ventilata, ha facilitato lo sviluppo delle fiamme per via dell’effetto camino creatosi all’interno dell’intercapedine.

In virtù della normativa vigente in materia, risalente al 2013 e alla quale è riconosciuta carattere volontario, le chiedo quanto sia importante dibattere sull’argomento dei materiali impiegati nella costruzione della facciata al fine di prevenire il rischio di cedimenti strutturali.

In termini generali è difficile parlare di rischio di cedimenti strutturali, in quanto la normativa alla quale lei fa riferimento riguarda le facciate degli edifici, quindi componenti – per loro definizione – non strutturali. Comunque è importante dibattere su questo tema in quanto, proprio grazie alla normativa di ultima generazione, si tende a limitare il più possibile l’utilizzo di materiali o componenti infiammabili nella stratigrafia degli elementi di involucro al fine di evitare possibili scenari di propagazione del fuoco all’intero edificio.

Per il futuro, è possibile pensare a dei materiali “intelligenti” che siano più in linea con l’evoluzione della bioarchitettura ma soprattutto che possano essere ecocompatibili nel rispetto delle politiche ambientali?

Negli ultimi anni l’architettura in generale, non solo quella italiana ma anche quella internazionale, ha come uno dei suoi primari obiettivi quello della sostenibilità. La stessa città di Milano – con gli sviluppi che l’hanno caratterizzata negli ultimi direi 15 anni – rappresenta un importante polo di attrazione per questo tipo di architettura.

Gli stessi edifici alti che caratterizzano lo skyline di Milano realizzati in questi ultimi anni hanno tutti caratteri di un’architettura sostenibile sia dal punto di vista della progettazione sia dal punto di vista dell’impiego di prodotti e materiali di ultima generazione, compatibili con l’ambiente ma di elevate prestazioni tecnologiche.

La mia specializzazione mi ha consentito e mi consente sempre di poter affrontare la sfida di nuove costruzioni che portano più in alto l’asticella della sostenibilità e della ricerca dello sviluppo tecnologico. Va infatti ricordato che l’involucro di un edificio è non solo il suo biglietto da visita, bensì molto spesso è il concentrato delle scelte architettoniche e tecnologiche che lo portano ad essere un’opera iconica e a migliorare quelli che sono gli standard costruttivi di prestazione, precedentemente stabiliti non solo dalle normative, ma anche dal mercato edilizio.

La tragedia avvenuta, nel contesto della quale fortunatamente non vi è stata alcuna perdita di vite umane, può essere dipesa da una pluralità di fattori che allo stato sono allo studio della magistratura e rispetto ai quali ovviamente in questo momento non è possibile esprimersi. Comunque questi eventi, seppure drammatici, non devono fermare lo sviluppo dell’architettura, bensì indurre al crescere di essa verso nuove forme di espressione e verso l’impiego di nuovi materiali e nuove tecnologie.

In una certa misura penso che l’architettura sia una forma di arte che deve peraltro necessariamente sperimentare soluzioni non solo belle, ma anche sicure e che, sotto questo profilo, l’evolversi della ricerca tecnologica costituisca un propulsore eccezionale. Nella mia vita professionale ho potuto partecipare alla realizzazione, con ruoli diversi, di alcuni degli edifici più belli del panorama milanese e credo che  l’obiettivo debba sempre essere quello di  perseguire la bellezza utile di socratica memoria.

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