“L’anima dei fiori”, il piccolo gioiello recuperato dai fasti del passato

Santa Maria Capua Vetere. “L’anima dei fiori. Il mandorlo. Il gelsomino. Il papavero” di Matilde Serao è un piccolo pamphlet dato alle stampe nel 1903 e mai più pubblicato. Edizioni Spartaco, la casa editrice indipendente più lungimirante della provincia di Caserta, lo ha rieditato pur seguendo il testo dell’editio princeps.

Il risultato è un piccolo gioiello, realizzato con copertina d’artista ad opera di Angelo Maisto e curata da Donatella Trotta che ci accompagna nella trattazione con una briosa introduzione.

In “Una poetica delle piccole anime. Le volatili fragranze dell’amore”, la curatrice ci fornisce la chiave di lettura per immergerci nel variopinto trittico floreale celebrato dalla Serao, con un linguaggio simbolico e romantico al contempo. Quest’ultima fu definita da Alfredo Panzini la “donna che dipinse con la penna” in un’epoca fatta di non sottaciute resistenze a scapito di ogni timida affermazione del pensiero femminile.

Il libro può essere definito come un “misterioso calendario floreale dell’anima” per dirla alla Serao, in cui scoprire l’essenza e il comportamento delle graziose creature del regno vegetale. Procedendo con ordine, emerge in rassegna il primo protagonista della triade botanica: il mandorlo, che colpito dai primi raggi di sole nell’inverno ancora freddo, fiorisce rallegrando l’anima. Come un amante impavido si getta tra le braccia del suo desiderato amore, il sole.

“E allora nel suo temperamento fine e vivido, nel suo bisogno di espandersi, nella sua tenerezza vegetale, appena sente il riverbero di un riflesso solare, appena il cielo si chiarisce, con un abbandono amoroso, il mandorlo fiorisce”.

È la volta del Cestrum, il gelsomino notturno che nelle notti d’estate regala sogni fiabeschi e profumati. Nella forma di una piccola stella bianca, il gelsomino è generoso poiché sparge il suo odore verso ogni cosa che giace sotto di sé: “il suo profumo carezzoso di giorno, diventa inebriante di notte, come se il piccol fiore mandasse al bruno arco del cielo stellato, tutto tremolante di pie luci, il suo incenso più odorante”. Il gelsomino ci ricorda che la vita è fatta di sogni e per lui è “meglio sognare che vivere”.

E veniamo all’ultimo, emblematico protagonista floreale della colorata tripartizione: il Papavero. Metaforicamente rappresentativo della fine del sodalizio umano e artistico tra Matilde Serao e suo marito Edoardo Scarfoglio, coppia di “giornalisti nati” a detta di Antonio Gramsci. Pare che in gioventù Scarfoglio amasse firmare i suoi articoli con lo pseudonimo rubato al fiore, anima predestinata ad essere complice di quel “naufragio oratorio”.

Il Papavero vive di contrasti aperti che non per questo lo rendono meno affascinante, anzi. La sua natura, intrinsecamente campestre viene sovente scambiata, travisata dal gusto moderno delle decorazioni gentilizie mutando la sua espressione e anche il suo umore:

“E i loro colori sono diventati così strani, così diversi, così giapponesi, diciamo così, per dire il colmo dell’esotismo, che l’occhio incantato li guarda, come innanzi a spettacol nuovo”.

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