“Disavventure d’amore”, un coro di inciampi in cento parole

Roma. “L’amore è cieco e il buio gli si addice”, sono le parole che il più celebre poeta e drammaturgo del teatro elisabettiano farà dire ad uno dei suoi personaggi, Benvolio, a conclusione della scena prima del secondo atto della nota tragedia. Una frase che vorrebbe strappare una volta e per tutte quella componente esoterica, ineffabile, insita nel sentimento amoroso, indiscusso protagonista di un esperimento corale, in cento parole, edito da “L’Erudita”, il marchio di Giulio Perrone Editore, la cui curatela è affidata alla scrittrice e docente napoletana Vincenza Alfano. Un divertissement, provocatorio e dal titolo ammiccante che ha rappresentato una sfida per i tanti che vi hanno partecipato. Un’antologia non partigiana o territoriale ma atta a ricomprendere autori di diversa provenienza geografica al fine di raccontare una storia vera o filtrata dalla finzione, rigorosamente in cento parole. Un format che nel tempo è divenuto una consuetudine, proposto dalla casa editrice romana; un successo conclamato dalle numerose partecipazioni di talentuosi autori. Ognuno con il suo stile, con la sua personale cifra stilistica, quella che gli addetti ai lavori chiamano voce. La voce dello scrittore è dunque il suo marchio di fabbrica, capace di colorire le sfaccettature dello scritto che di volta in volta riesce a produrre. Mettersi in gioco in modo scanzonato confrontandosi con il rigore della sintesi, questo ha voluto significare prender parte a “Disavventure d’amore in cento parole”.

Spesso, infatti, dietro questi racconti brevi si nasconde “Il cuore suppliziato” dell’autore, per citare Rimbaud,  un vissuto autobiografico che nel gioco letterario ha la possibilità di disvelarsi. “Il tema dell’amore – dice Vincenza Alfano – ha sovente costituito un tòpos nella poesia antica e successivamente in quella moderna, a partire dalle esperienze che i poeti avevano vissuto o che avevano prestato alla fantasia e all’immaginazione”. Dell’amore, dunque, la letteratura ne è satura e anche di “Equivoci”, a quanto pare! Il più goffo proviene proprio dal racconto di Vincenza Alfano che è sintonizzato nel giorno di San Valentino, ricorrenza che questa antologia ha il desiderio di celebrare. Ci si imbatte in storie fantastiche, attuate mediante l’artificio della trasposizione fiabesca, nella quale il senso del messaggio, la cosiddetta morale, viene fatta pronunciare da personaggi dal volto animale, come accade in “Storia di un piccione vestito da gallo” di Maria Antonietta Potente ma anche in efficaci e coraggiose riscritture di celebri opere della letteratura moderna come “La capinera vola” di Stefania Avola, liberamente ispirata a “Storia di una capinera” di Giovanni Verga. Tutti racconti perfettamente riusciti sebbene presentati in forma breve, filosoficamente in linea con i “Frammenti di un discorso amoroso” di Roland Barthes. Il metodo sancito è quello del sarto, che taglia, riduce e sottrae al racconto il superfluo; lo “asciuga” pur mantenendo il nucleo essenziale della narrazione, sempre con leggerezza “che non vuol dire superficialità, ma planare sulle cose dall’alto senza avere macigni sul cuore”, come ha scritto Italo Calvino in “Lezioni Americane”.

Gli autori traghettano il lettore verso il racconto lasciandogli intatta la capacità immaginifica, il segreto prodotto dall’arte della parola. Ci sono “I treni che passano una seconda volta nella vita” (Francesco Monaco), ma anche “Giri di valzer” (Soleida Ruvolo); “Imprevisti” che per Vincenzo Sarracino sono le tipiche “scappatelle” e che pericolosamente possono tradursi in “Un addio” (Lorenzo Berra), perché diciamocelo, “Il triangolo, no” (Maria Grazia Gugliotti), o in una lotta con se stessi scongiurando “i buchi rossi nelle camicie bianche”, come avviene ne “Il duello” di Paolo Miggiano. I registri vocali cambiano, si resta sorpresi per il taglio accattivante e puro di “L’abitino coi limoni” di Ilaria Pagano e spiazzati da diciassettenni mosse dal proposito di sperimentare l’arte della seduzione come nel racconto di Gabriella Miele, “Seventeen”, ma anche folgorati dalle atmosfere delicate e oniriche di Daniela Arena con il suo “Kristopher e la fontana”. Poi ci sono storie umane di compassione e soprattutto, storie di perdono, come quella raccontataci da Maria Marmo con “Un uomo”; storie di inciampi, di piccoli incidenti fatali che decidono di restare, come quello accaduto alla protagonista di “Quella volta che non andò via”, di Anna Copertino. Sul più bello, talvolta, il racconto finisce e si avverte quella sottile sensazione di voler sapere di più ma l’attesa di “L’amore immaginato” (Valentina Capuano), è tutta un programma, è con molta probabilità indice di una “Metamorfosi di un disastro amoroso” (Alessia Guerriero). Non resta allora che accontentarsi dell’appuntamento serale col “Dolce sacchetto” (Mauro Galliano) e fiondarsi al cassonetto dell’immondizia non senza aver prima strizzato l’occhio a Cupido.

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