Dal paesaggio ai tableaux vivant, Roberto Rocco racconta il suo concetto di fotografia

Roma. Il fotografo romano Roberto Rocco è tra gli artisti più interessanti nel panorama dell’arte contemporanea con una produzione artistica ultracinquantennale variegata, che va dal ritratto, al paesaggio, ai tableau vivant. Ma c’è di più. La sua creatività non si esaurisce nella fotografia, bensì approda al cinema e alla televisione, dirigendo artisticamente importanti produzioni.
Dal 2020 si cimenta in “Sacro Profano”, una produzione fotografica di più di 40 opere in cui l’artista si confronta con le iconografie bibliche proponendone una rivisitazione in chiave contemporanea, laddove persone comuni e personaggi più o meno famosi del mondo dello spettacolo e del cinema diventano interpreti di immagini – per lo più tableau vivant – che da più di duemila anni fanno parte dell’immaginario collettivo. Le immagini saranno esposte il prossimo autunno in una mostra dedicata presso l’ex Chiesa di San Carpoforo dell’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano a cura del critico d’arte Marco Eugenio Di Giandomenico.

Ha condotto importanti progetti, molto apprezzati nel panorama nazionale e internazionale. Ha saputo cogliere il meglio che la fotografia potesse offrire. Come nasce la sua passione per la fotografia?

In realtà il mio primo amore è il cinema, anzi il grande cinema. Nel 1967, giovanissimo, ho l’opportunità di assistere il maestro Franco Zeffirelli nel filmmaking di “La bisbetica domata” (“The Taming of the Shrew”), con Richard Burton ed Elizabeth Taylor, tratto dall’omonima commedia di William Shakespeare.
Un’esperienza irripetibile che mi ha aperto il mondo delle produzioni cinematografiche hollywoodiane. Mio padre era un caro amico di Elizabeth Taylor di cui conservo tanti bei ricordi, non solo per la sua bellezza, ma anche per la sua incredibile voglia di vivere e la naturale empatia che riusciva a instaurare con chiunque entrava in contatto.
Dopo aver collaborato come art director a Roma nel film “Comma 22” (“Cath 22”) del 1970, diretto da Mike Nikols, interpretato, tra gli altri, da Alan Arkin, Martin Balsam, Orson Welles ed Anthony Perkins, negli anni successivi sono travolto dalla grande passione per la fotografia instaurando collaborazioni con le più importanti testate americane, da Harper’s BAZAAR a Vogue. Svolgo attività di art director per Ambiance Magazine, e ho l’opportunità di ritrarre star del cinema e dello spettacolo del calibro di Monica Bellucci, Julia Roberts, Cameron Diaz, Mickey Rourke, Jeff Colburn, Quincy Jones, Robert de Niro, Harvey Keitel, Madonna, Claudia Cardinale e tanti altri.
L’amore per la fotografia caratterizza tutta la mia vita artistica fino ad oggi e devo dire che le mie attività nel cinema e nella televisione sono sempre state, tutto sommato, una declinazione creativa di tale mia grande passione.

La televisione ha rappresentato anche un momento importante della sua carriera artistica?

Ho lavorato tanto per la televisione. Negli anni novanta ho diretto vari film e serie TV prodotti da Mediaset e trasmessi da Canale 5 tra cui “L’angelo Nero” (1998), interpretato da Massimo Ranieri, Ben Gazzara, Pino Ammendola, Gabriel Garko, Hanna Schygulla, Maria Schneider e Giuliana De Sio. Nei primi anni duemila, sempre per Mediaset, ho collaborato come direttore della fotografia alla serie TV di grande successo “Il Bello delle Donne”.
In realtà le mie collaborazioni televisive degli ultimi vent’anni si sono sempre affiancate alle mie produzioni fotografiche spesso destinate alle più importanti testate giornalistiche nazionali tra cui Panorama, L’Espresso, La Repubblica, Corriere della Sera.

Come nasce il progetto “Sacro Profano”? Come si arriva a una produzione così distante dal tuo precedente vissuto artistico?

La produzione fotografica “Sacro Profano” nasce nel 2020 in piena pandemia. La precarietà che lo sconosciuto virus introduce nei sentimenti e nei pensieri delle persone diventa un’occasione di profonda riflessione, di ricerca di un “senso della vita” ormai perduto a causa del marasma della vita precedente, con un’umanità bombardata dalle nuove tecnologie e dalla frenesia del modo di lavorare contemporaneo.
Mi sono sempre relazionato alle mie fotografie come opere d’arte, come strumento per dare un messaggio all’osservatore, per dire la mia circa la società contemporanea. Nel 2014 ho partecipato alla terza edizione della mostra “Miami River Art Fair” (4-7 dicembre 2014), durante l’Art Basel week, esponendo alcune sue opere fotografiche, al fianco di prestigiosi artisti provenienti da ogni parte del mondo.
Nel 2015, sempre a Miami, ho fondato il magazine “Aptitude” (www.aptitude-mag.it), prodotto da Studio Immagine Group, dove svolgo attività di direzione artistica e fotografo.
Nel 2019 a Capri, presso la Certosa di San Giacomo, nell’ambito della 24ma edizione di “Capri, Hollywood–The International Film Festival”, è stata organizzata una mia mostra fotografica personale dal titolo “My Divas” curata da Marco Eugenio Di Giandomenico, con quasi 50 immagini di dive del cinema di tutti i tempi. Le opere sono esposte nel 2020 anche a Los Angeles nell’ambito delle iniziative relative alla “Walk of Fame” di Hollywood.
Nel 2020 sono nominato visiting professor del Master Universitario “L’Altra Fotografia. Nuovi Strumenti e Sostenibilità nella Fotografia” diretto da Roberto Rosso e Marco Eugenio Di Giandomenico, docenti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, e organizzato dall’ARD&NT Institute (Accademia di Belle Arti di Brera e Politecnico di Milano).
Sempre nel 2020 è stata organizzata una mia mostra personale dal titolo “Civitavecchia Waterfront”, curata da Marco Eugenio Di Giandomenico, presso il Complesso Commerciale “La Scaglia” a Civitavecchia.
Insomma, io ho sempre pesato di “fare arte”. Ciò che distingue veramente “Sacro Profano” dalle mie passate attività creative, è che per la prima volta, in età matura, ho deciso di esprimermi artisticamente senza per così dire un committente.
A più di settant’anni mi sono scoperto un artista vero, non solo per il mio approccio e le mie modalità realizzative che ho sempre attuato, ma soprattutto perché il mio desiderio di creare ha travalicato l’angusto rapporto della transazione commerciale.
In realtà è emerso ciò che da sempre mi ha caratterizzato, da quando adolescente cercavo di ritrarre Liz Taylor con macchinette fotografiche improbabili, con l’intento di riuscire a immortalare immagini che raccontassero di lei in maniera diversa, per come io la vedevo. Ma ero solo un bambino.

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