“C’è ancora domani”, l’esordio alla regia di Paola Cortellesi ci ricorda il potere di una sala cinematografica

Roma. A distanza di poco più di due settimane dalla sua uscita, il nuovo film di Paola Cortellesi è già il film italiano più visto dell’anno, conquistando così il “biglietto d’oro” assegnato dall’Associazione nazionale esercenti cinema, che si unisce ai riconoscimenti già ottenuti nel corso della diciottesima edizione del Festival del Cinema di Roma.
Le ragioni di un successo di queste proporzioni sono tante e diverse tra loro, ecco perché “C’è ancora domani” è un film che allo stesso tempo sorprende lo spettatore, lo fa arrabbiare, lo fa ridere e anche commuovere.
Delia (Paola Cortellesi) è una delle tante donne invisibili che, silenziosamente, fanno la storia: abita in un seminterrato insieme al marito autoritario e violento (difficile e scomodo ruolo interpretato da Valerio Mastandrea), ai figli e al suocero scorbutico (un impeccabile Giorgio Colangeli), svolge mille lavoretti per cercare di tenere in piedi la famiglia e sopporta le vessazioni a cui è sottoposta ogni giorno sia dentro che fuori dalle mura domestiche. Unici momenti di spensieratezza, durante le sue giornate, le chiacchierate con l’amica fruttivendola (una Emanuela Fanelli decisamente a fuoco) e i rapidi incontri con un meccanico (un Vinicio Marchioni che riesce a lasciare il segno), innamorato di lei sin dall’infanzia.
A questa narrazione, che celebra il valore delle donne attraverso la quotidianità, fa da sfondo una Roma popolare del secondo dopoguerra, con i suoi cortili e i suoi mercati rionali pieni di colori nonostante la pellicola sia realizzata in bianco e nero.
Ciò che colpisce maggiormente di questo film è la maestria nel riuscire ad ingenerare e a tenere insieme i sentimenti e le sensazioni più contrastanti: la rabbia che lo spettatore prova per le violenze e le sopraffazioni subite dalla protagonista convive con un umorismo dissacrante che caratterizza anche scene che per loro natura si presterebbero ad un taglio esclusivamente drammatico.
Non è semplice infatti, nel 2023, raccontare la condizione femminile in un contesto sociale come quello degli anni ’40, all’indomani della seconda guerra mondiale e alla vigilia del referendum tra Repubblica e Monarchia, senza sconfinare nel luogo comune o nel “già visto”; non lo è, ancora di più, se si sceglie di farlo attraverso una chiave ironica, che corre il rischio di apparire fuori luogo. La verità è che Delia ci racconta da dove veniamo. La protagonista vive una condizione drammaticamente comune in quegli anni, riscontrabile nel passato di quasi ogni famiglia; lei stessa è del tutto inserita in un tessuto sociale di cui la violenza è parte integrante, tanto da giustificare le azioni del marito, normalizzandole, restando al proprio posto e “a bocca chiusa”.
Quella di “C’è ancora domani”, però, è anche una storia di reazione, di riconquista, di riappropriazione, di sogni e speranze verso un futuro diverso che la protagonista riesce a vedere negli occhi della figlia e che ognuno degli spettatori in sala percepisce come proprio; questo risultato è reso possibile grazie ad un cast ineccepibile e ad una scrittura emotivamente intelligente, dal sapore agrodolce, che scorre con ritmo senza apparire mai scontata.
In questo suo esordio alla regia, Paola Cortellesi, oltre a mettere tutta la sua bravura e la sua sensibilità a servizio di una storia universale, riesce a realizzare un’altra piccola grande impresa: ricordarci il potere di una sala cinematografica, la sua funzione di specchio collettivo, di manifestazione di una memoria storica e di condivisione di un comune sentire, che ci fa riflettere su quanto siano cambiate oggi le cose rispetto a ciò che vediamo sullo schermo e su quanto ci sia ancora da fare. Ma, per fortuna, c’è ancora domani.

Crediti foto: Claudio Iannone.

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