Villa Fiorentino diventa lo scenario artistico delle opere di Henri Matisse

Sorrento. Seguire una passione nata per caso abbandonando un impiego sicuro e ben retribuito potrebbe apparire come una follia, ma se a scegliere tale strada è un artista come Henri Matisse allora possiamo affermare con certezza che la sua scelta sia stata vincente.
Nato a Cateau – Cambrésis nel 1869, Matisse apparteneva ad una famiglia di commercianti: dopo la laurea in legge divenne impiegato statale ma una brutta appendicite lo costrinse a letto per lunghi mesi durante i quali l’amore per l’arte rappresentò la sua unica boccata d’ossigeno e la svolta decisiva per la propria vita. Principale esponente del fauvismo, movimento d’avanguardia che raggruppava pittori principalmente francesi, e amico fraterno di Picasso, Matisse subì fortemente il fascino del continente africano tanto da visitare spesso sia l’Algeria che il Marocco senza però disdegnare incursioni in Italia e in Russia per ampliare i propri orizzonti. Di Matisse esiste un aspetto forse meno noto al pubblico, ovvero la sua esperienza come scenografo e costumista presso prestigiose realtà teatrali della sua epoca, ed è proprio questo capitolo della sua vita artistica che viene analizzato nel corso della mostra dal titolo “Henri Matisse – Il sipario della vita”, esposizione visitabile a Sorrento, dal 15 giugno al 20 ottobre, all’interno dei prestigiosi spazi di Villa Fiorentino. La mostra, organizzata grazie alla sinergia tra la Fondazione Sorrento ed il Liceo Artistico “Francesco Grandi”, si sviluppa su tre piani offendo al pubblico un’ampia panoramica dei dipinti e dei disegni realizzati da Matisse durante i suoi incarichi teatrali, opere provenienti da realtà di respiro internazionale come il “Kunstmuseum Pablo Picasso” di Münster, le “Gallerie Maeght” di Parigi e “Magnum Photos”. La personale si concentra sull’operato di Matisse come drammaturgo e scenografo nel corso degli anni Venti, periodo durante il quale fu fortemente affascinato dal tema delle odalische, senza tralasciare il ventennio successivo, ovvero gli sgargianti anni del jazz che gli ispirarono acrobati e figure mitologiche. La Cappella del Rosario di Vence, invece, segnò l’ultimo capitolo dell’esistenza di Matisse: si tratta di un’opera caratterizzata da vetrate multicolori e pitture policrome, un progetto realizzato nei minimi dettagli senza dimenticare i paramenti sacri e l’apparato liturgico. Al contrario di quanto si possa pensare, l’artista francese non conosceva particolarmente il mondo ecclesiastico ma l’ottima riuscita dei suoi lavori per la Cappella di Vence fu possibile grazie al suo stacanovismo e al suo modo di concepire il progetto, ovvero come se fosse un palcoscenico sul quale mettere in scena una rappresentazione.
Abbiamo menzionato il tema delle odalische pertanto appare necessario soffermarsi adeguatamente su di esso: le donne raffigurate da Matisse presentano una fortissima carica erotica, un atteggiamento estremamente seducente, e sembrano quasi offrirsi allo spettatore consce delle proprie potenzialità. Raffigurate spesso durante il sonno, in un apparente stato di abbandono, in realtà sono emblema di una femminilità sapientemente costruita che nulla lascia al caso. Il loro abbigliamento richiama lo stile arabeggiante e la fiaba de “Le Mille e una notte”, ma altri protagonisti incontrastati sono certamente l’arredamento, i tessili e gli accessori femminili, volutamente opulenti, della moda orientale.
Per realizzare la Cappella di Vence numerosi furono i bozzetti realizzati da Matisse il cui metodo di lavoro ricorda molto quello di uno scenografo consumato. La commissione dell’opera gli giunse in un modo piuttosto singolare, l’artista infatti entrò in contatto con i committenti in seguito alla conoscenza con un’infermiera appartenente all’ordine delle suore domenicane che gli sottopose alcuni progetti della chiesa in costruzione. La Cappella è l’opera conclusiva del percorso artistico di Matisse, quattro anni di intenso lavoro che assorbirono tutte le sue energie: vetrate dai colori vividi che si contrappongono al bianco e al nero delle pareti, un progetto di dimensioni notevoli che permise a Matisse di esprimere a 360 gradi il proprio estro creativo. Il lavoro finale coincise con una purificazione dell’anima dell’artista: lui, che per tutta la sua vita aveva inseguito la perfezione dei corpi femminili, concesse la sua genialità alla chiesa. Una scelta che gli attirò le invettive dell’amico e collega Picasso, per il quale era inconcepibile che un artista agnostico si mettesse al servizio della religione.
Non spetta a noi indagare le motivazioni che spinsero Matisse a virare verso altri orizzonti quando la sera della vita si stava approssimando a lui. Quel che è certo è che la sua produzione mantenne un livello elevato dagli albori fino all’epilogo, perché il sacro fuoco dell’arte non accetta compromessi e si alimenta costantemente.

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