Sonia Bergamasco indaga il mondo femminile in “L’uomo seme”

Roma. Dal 5 al 10 marzo, al Teatro Franco Parenti, andrà in scena “L’uomo seme”. Sonia Bergamasco prosegue – dopo “Karenina”, “Il Ballo”, “Il Trentesimo Anno”, “Louise e Renée” – la sua esplorazione del femminile attraverso la lingua forte e appassionata di Violette Ailhaud, autrice di uno stupefacente manoscritto.
Inno spiazzante alla vita, “L’uomo seme” è uno spettacolo corale concepito in forma di ballata, in cui racconto, canto e azione scenica cercano un punto di equilibrio essenziale. L’albero-casa al centro della scena – realizzato da Barbara Petrecca – si anima delle luci di Cesare Accetta e dei movimenti scenici curati da Elisa Barucchieri. Sul palco, accanto a Sonia Bergamasco, le Faraualla – splendido quartetto di cantanti attrici – e il musicista performer Rodolfo Rossi.
Dichiara Sonia Bergamasco: “Quando una storia ci colpisce al cuore sentiamo il bisogno di raccontarla di nuovo per ritrovare, in chi guarda e ascolta, conferma del nostro sguardo. Questo è quello che mi è successo quando ho letto “L’uomo seme”, testimonianza viva di un’esperienza unica e sconvolgente. In un villaggio di montagna dell’Alta Provenza, all’indomani della Grande guerra, tutti gli uomini sono morti. Il paese è abitato solo da donne e bambini. Violette Ailhaud, testimone dei fatti, trova solo allora e finalmente le parole per raccontare di quando, ancora ragazza, il suo villaggio aveva vissuto un’identica tragedia. Violette affiderà questo suo memoriale a un notaio con l’incarico di consegnarlo alla più giovane delle sue discendenti. Una lingua forte, scabra e ventosa ci conduce in cima alle montagne dove è ambientata la vicenda e dove vive questa comunità di sole donne che stringerà uno straordinario patto per la vita.
Svetlana Aleksievic nel suo grande libro di inchiesta La guerra non ha un volto di donna scrive che il racconto della guerra nasce, nella tradizione, da percezioni prettamente maschili, rese con parole maschili. Nei racconti delle donne non c’è, o non c’è quasi mai, ciò che siamo abituati a sentire: gente che ammazza eroicamente altra gente e vince o viene sconfitta. E anche se sembra che il tempo presente, tempo di guerra permanente, sia anche il tempo delle donne soldato – curde, americane, israeliane – resta tuttavia la percezione che per entrare nella lingua della guerra “guerreggiata” le leve femminili abbiano la necessità di mascolinizzarsi. Sono altri i racconti femminili, e parlano d’altro. La guerra raccontata al femminile ha i propri colori, odori, una sua interpretazione dei fatti ed estensione dei sentimenti. Dove non ci sono eroi e imprese strabilianti, ma persone reali impegnate nella più disumana delle occupazioni dell’uomo. E a soffrirne non sono solo le persone, ma anche i campi, e gli uccelli, e gli alberi. Ogni cosa che convive con noi su questa terra. Inno spiazzante alla vita, l’Uomo seme è un racconto corale in forma di ballata, in cui narrazione, canto e azione scenica cercano un punto di equilibrio essenziale”.

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