Paolo Cresta è Vitangelo Moscarda in “Uno, nessuno e centomila”

Napoli. Un uomo, un uomo qualunque come si definisce lui stesso, un giorno come un altro riceve un’osservazione da sua moglie: ” Guardatelo bene il naso, ti pende verso destra”. Questa semplice e, apparentemente, innocua frase trascina l’uomo, Vitangelo Moscarda, in abissi di riflessioni e considerazioni che gli scavano dentro.
Inizia a ricercare dentro di sé, nelle persone intorno a lui, scoprendosi, tormentatamente, “Uno, nessuno e centomila”, titolo del romanzo di Luigi Pirandello che Paolo Cresta porta in scena, in prima assoluta, sabato 27 luglio alle ore 21.00 (repliche fino a lunedì 29), al Real Orto Botanico di Napoli, nell’ambito della rassegna estiva “Brividi d’Estate 2019”, diretta da Annamaria Russo.
In scena un uomo, solo, avvolto nel disegno luci di Amedeo Carpentieri, si rivolge direttamente al pubblico, proprio come il romanzo si rivolge direttamente al lettore. Racconta la sua storia, e nel farlo si confida, si confessa, rivive il suo lancinante viaggio interiore, inducendolo ad affermare che, oltre a tutto il resto, non ha più bisogno di un nome, perché i nomi convengono ai morti, a chi ha concluso. Lui è vivo, e non conclude. La vita non conclude, e non sa di nomi.
E’ così che, da un semplice specchio, superficie ambigua e inquietante, emerge per Vitangelo Moscarda, un volto di sé finora ignorato, provocando in lui una profonda crisi, fino all’agghiacciante consapevolezza che la sua immagine negli occhi degli altri è lontana anni luce da quella che ha di se stesso.
Da qui la presa d’atto ancora più inquietante: egli non è ‘uno’, come aveva creduto sino a quel momento, ma ‘centomila’, nel riflesso delle prospettive degli altri, e quindi ‘nessuno’. La realtà banale e paradossale dell’uomo, in relazione a se stesso e agli altri, è il filo rosso di una storia nella quale ciascuno di noi è costretto a riconoscersi.
“Uno, nessuno e centomila” è uno dei romanzi più famosi di Luigi Pirandello. Iniziato già nel 1909 e rimasto a lungo in gestazione, uscì solo nel dicembre 1925 sotto forma di romanzo a puntate nella rivista “La Fiera Letteraria”, e in volume nel 1926 (la rivista “Sapientia”, nel gennaio 1915, aveva pubblicato alcuni frammenti con il titolo “Ricostruire”, che sarebbero confluiti con alcune modifiche nei capitoli VI-XI del secondo libro della versione definitiva). Questo romanzo, l’ultimo di Pirandello, riesce a sintetizzare il pensiero dell’autore nel modo più completo. L’autore stesso, in una lettera autobiografica, lo definì come il romanzo “più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita”.

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