“Nozze di sangue”, una straordinaria Lina Sastri interpreta il dramma di García Lorca

Napoli. Dopo il debutto nel giugno del 2023 al Teatro Grande del Parco Archeologico di Pompei e il successo già raccolto in città come Palermo, Catania e Torino, dal 15 febbraio “Nozze di sangue” di Federico García Lorca è al Teatro San Ferdinando di Napoli e andrà in scena per 10 giorni, con una straordinaria Lina Sastri nel difficile doppio ruolo di madre e sposa.
L’adattamento e la regia sono di Lluís Pasqual che non solo ha ridotto i tre atti in uno solo della durata di 1 ora e 10 minuti, ma è voluto andare all’origine del racconto cogliendo e portando in scena “l’oscura radice dell’urlo”.
Non era possibile proporre il dramma originale e non solo per la lunghezza, ma perché proprio di un’epoca molto distante dalla nostra.
Pasqual, allora, ne ha colto il messaggio universale e l’ha attualizzato, senza sacrificare però la sua forza narrativa e poetica, arricchendolo col canto e il ballo del flamenco nella sua versione ossessiva – col canto jondo che è scuro e profondo – e con la musica di Riccardo Garcia Rubì alla chitarra, di Carmine Nobile alla seconda chitarra e di Gabriele Gagliarini alle percussioni, che hanno consentito una variazione di ritmo senza far perdere la tensione emotiva della prosa.
A confronto sono gli amori lacerati, quello della madre per il proprio figlio e quello della sposa che lascia il marito il giorno delle nozze per seguire la passione per un altro uomo, che è a sua volta sposato con la cugina della donna (una brava e credibile cantante e attrice Roberta Amato nel ruolo della sposa di Leonardo), con un figlio già nato e un altro in arrivo.
Il dramma si apre con un monologo/prologo della madre dello sposo – ma può essere di una delle tanti madri che anche oggi piangono i propri figli morti in guerra – che odia i coltelli e le armi in generale e la facilità con cui gli uomini se ne servono, perché responsabili della morte del marito e del figlio, cosa di cui lei non sa darsi pace.
Le resta un altro figlio (Giovanni Arezzo), ma già dal semplice saluto mattutino tra loro si intuisce la terribile fine che lo aspetta, quando lui cerca un coltello per raccogliere i grappoli d’uva e la donna si agita perché quell’oggetto per lei è solo presagio di sventura.
E a nulla valgono le informazioni che la donna assume e le rassicurazioni che le vengono fatte sulla futura sposa perché il destino si dovrà compiere lasciando le due vittime della violenza maschile da sole, disperate, a trascinare a vita il proprio dolore e a preannunciare lo scoppio della guerra civile spagnola: “qui adesso ci sono due bande, tu con i tuoi, io con i mei”.
Non è un caso che la colonna sonora di questa messa in scena sia il cante jondo che è espressione di un dolore ancestrale che va al di là della singola persona, e appare radicato saldamente nella storia e nell’anima del popolo spagnolo, che come diceva Garcia Lorca “piange la melodia come piangono i versi”.
È un canto che non ha bisogno di raccontare attraverso il testo ciò che si vede, ma ciò che sente.

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