Matteo Gabbianelli, il frontman dei KuTso racconta un pezzo della sua strada artistica

Roma. Matteo Gabbianelli è l’anima dei KuTso, band della scena romana alternativa, le cui orme cominciano a tracciarsi a partire dal 2006. Cantante, arrangiatore e produttore, è attualmente affiancato da Brian Riente alla chitarra, Luca Lepore al basso e Bernardino Ponzani alla batteria. I KuTso, – nome del gruppo voluto dal giovane Gabbianelli, quando ancora liceale, si divertiva ad inglesizzare le parolacce – hanno all’attivo 3 LP e 2 EP oltre a importanti partecipazioni a grandi manifestazioni come il concerto del 1 maggio e l’essersi classificati al secondo posto, nella categoria “Nuove Proposte”, al Festival di Sanremo, nel 2015. Gabbianelli nasce come batterista, il suo processo creativo si caratterizza per l’uso della chitarra (che dichiara di non saper suonare), fondamentale apporto per l’idea degli accordi che il brano dovrà poi avere. Ma è dal confronto con gli altri componenti, dall’idea collettiva, che la canzone mette radici, consolidandosi. Si dichiara un ascoltatore onnivoro, che si è formato con il rock duro degli AC/DC, dei Nirvana e dei Guns N’ Roses ma anche con la purezza dei Deep Purple e col Jazz di Stevie Wonder per restare fuori dal Belpaese. In Italia, la sua ispirazione è rappresentata da Giorgio Gaber che a lui, come a tante altre intere generazioni, ha aperto un mondo di parole nuove, avvolte nel suo stile unico, nella direzione del teatro-canzone. Da queste solide radici musicali, Matteo Gabbianelli si è reso portatore di un approccio contaminato, tra canzone d’autore e ricerca verso uno sperimentalismo sonoro in continuo mutamento. Pungente e provocatorio, con uno sguardo lucido e dissacrante sulla realtà, si autodefinisce “un iconoclasta anarchico che non subisce il fascino dell’autorità”. Lo abbiamo contattato per farci raccontare un pezzo di strada percorsa con i KuTso.

Verrebbe da citare Fossati per il momento che siamo ancora costretti a vivere, “Le speranze non hanno chances, c’est la décadance (…)”; Matteo, in questo lungo periodo pandemico, pur mantenendo il tuo stile caustico, hai realizzato e prodotto tre brani estemporanei che lasciano ben vedere il frangente storico. Da artista sensibile quale sei, ti chiedo se e quanto il tuo approccio musicale sia stato influenzato.

Io credo che chiunque abbia un’anima creativa non possa fare a meno di osservare la realtà ed esternare i suoi pensieri, le sue sensazioni tramite la propria arte. È vero d’altronde che un evento drammatico e totalizzante come una pandemia mondiale può colpirci talmente forte da annichilire ogni nostro slancio comunicativo, ma a me è accaduto il contrario. Ho approfittato di questa clausura forzata per spendere tutto il tempo che avevo a disposizione nel mio studio di registrazione e scrivere, produrre e pubblicare un EP estemporaneo. “È andata così” è il mio personalissimo resoconto di questo assurdo anno e mezzo. Ora con i KuTso stiamo lavorando alla produzione del nostro prossimo album ufficiale; le canzoni furono scritte tutte prime della pandemia, circa due anni fa, ma effettivamente a riascoltarle ora, senza conoscerne la collocazione nel tempo, possono sembrare riferite all’attualità, forse perché i problemi sono sempre gli stessi con o senza coronavirus.

Lo scrittore Italo Calvino diceva “Alle volte uno si sente incompleto ed è soltanto giovane”; ti chiedo “Che effetto fa” – per citare un tuo album – ad oggi, guardare tutta la strada percorsa per affrontare il presente con maggiore consapevolezza?

Quando guardo indietro nel mio passato, vedo più o meno sempre la stessa persona che si arrovella in ragionamenti contorti, faticosi e spesso inconcludenti, i quali però sono e forse saranno sempre il motore della mia creatività. Purtroppo ho bisogno di incancrenirmi sui pensieri, fissarmi sulle mie impressioni e renderle ossessioni per poi poterle espellere dentro canzoni, poesie e video, liberandomene provvisoriamente.
Ecco, la “consapevolezza” per me è la constatazione dei miei limiti, che analizzo in continuazione nel tentativo, non dico di superarli, ma almeno di bypassarli per non impantanarmi esistenzialmente.

Da producer oltre che da musicista, ti chiedo un rapporto sulla creatività contemporanea. La nuova generazione di chi fa musica mostra di avere delle radici? È possibile fare arte al di là delle mode?

Ogni generazione ha le sue peculiarità, ma ci sono caratteri generali che rimangono sempre gli stessi, ovvero la capacità di creare, pensare e inventare: questi tre aspetti non li perderemo mai, a meno che non sopravvenga una mutazione genetica che renda dei perfetti idioti gli esseri umani del futuro. Io credo che i ragazzi di oggi abbiano piantato le loro radici in quello che succedeva venti o trenta anni fa. Ok, si sono persi i Led Zeppelin, De André e i Nirvana, ma i più curiosi e volenterosi se li andranno a riscoprire. Ed è perfettamente possibile fare arte nel 2021; la musica, che è ciò di cui mi occupo, non è in mano solo a quattro sedicenti criminali che sbandierano fantomatiche esperienze di strada per ottenere l’attenzione del pubblico, mostrando il nulla cosmico contenuto nelle loro scatole craniche. Nel mio lavoro di producer conosco continuamente ragazzi tra i diciotto e i trent’anni estremamente preparati, che prendono molto seriamente questo mestiere e hanno capito che, aldilà delle mode, l’unico aspetto su cui si possa contare è la propria originalità, quando c’è ovviamente.

Lo scorso 27 marzo si è svolta la conferenza stampa di presentazione delle liste de La Squadra per la Musica e per l’Audiovisivo relative alle elezioni di giugno del Nuovo IMAIE. Cosa prevede il vostro programma? In che direzione si muovono le vostre esigenze di tutela e di salvaguardia nei confronti dell’universo musicale?

Uno degli aspetti più interessanti della lista è l’attenzione verso lo sfruttamento della musica digitale, ancora una bestia semisconosciuta alle grandi società che si occupano di diritti d’autore e diritti connessi. Questo provoca una perdita notevole di introiti per molti artisti. Inoltre, il programma prevede una maggiore attenzione verso associati e mandanti, che devono essere aiutati nell’amministrazione e la salvaguardia del proprio patrimonio artistico, non confusi con una burocrazia fuorviante ed asfissiante. La lista è composta anche da molte persone giovani e fuori dai soliti circoletti. Insomma, se vogliamo vedere un cambio di rotta nel Nuovo IMAIE, che a onor del vero ha già fatto molto per gli artisti, soprattutto in questo periodo di forte disagio, e ha dato importanti segnali di rinnovamento non solo nel nome, dobbiamo votare La Squadra per la Musica e per l’Audiovisivo.

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