Massimo Cacciari al Teatro Mercadante con “Segni di Apocalisse. La Catastrofe culturale dell’Occidente”

Napoli. Il 3 novembre il Teatro Mercadante con Massimo Cacciari e la sua lezione dal titolo “Segni di Apocalisse. La Catastrofe culturale dell’Occidente” ha dato il via a una “serie di incontri volti a restituire la complessità a certi temi, per individuarne le radici culturali, filosofiche più profonde” – secondo Roberto Andò, che, citando il titolo di una raccolta di poesie di Patrizia Cavalli “Sempre aperto teatro”, ha definito il il teatro “una casa aperta alle turbolenze della storia”.
Massimo Cacciari riflette e fa riflettere sull’insicurezza e l’angoscia collettiva derivante dai fatti che quotidianamente avvengono, non fermandosi alla cronaca ma ragionando su quelli che lui definisce “tempi lunghi” e lo fa attraverso brani di grandi autori del ‘900 che testimoniano le ragioni della grave crisi mondiale, domandandosi se quelli fossero episodi isolati o potessero rappresentare già l’epilogo.
Si tratta di “grandi sismografi” della fine dell’800 inizio del ‘900 – la cui lettura è affidata all’attrice Paola De Crescenzo – che dimostrano che tutto quello che sta accadendo loro lo avevano già previsto e i loro testi si presentano come profezie.
Essi hanno pronosticato infatti a cosa avrebbero portato i nazionalismi europei, la lotta per l’egemonia delle grandi nazioni europee, ancora l’affermarsi di un sistema tecnico-finanziario, e non solo, dal punto di vista economico ma anche sociale e istituzionale di Stato di diritto sempre più concentrato sull’individualismo. Come uscirne? Non altro che in maniera catastrofica.
Friedrich Nietzsche in “Al di là del bene e del male” diceva che ci è estranea la misura a noi uomini moderni barbari e il commercio e il traffico mondiale, spinta per una nuova unità, avrebbero portato alla distruzione delle nazioni europee, dove il nazionalismo astuto avrebbe perseguito l’interesse di pochi, non di molti.
Fëdor Dostoevskij in un “Diario di uno scrittore”, una raccolta di una serie di articoli scritti per “Il cittadino”, parla già nel 1880 del crollo totale dell’Europa, di come il quarto Stato si sarebbe fatto sentire, non sarebbe sceso a compromessi e sarebbe avvenuto qualcosa a cui nessuno avrebbe mai pensato, ossia il crollo finale attraverso una guerra politica di scissione che avrebbe coinvolto tutti.
Le fabbriche e le banche sarebbero state tutte chiuse, né si sarebbe potuto sperare nei Parlamenti che avrebbero finanziato la guerra perché non avrebbero ragionato sulle sue conseguenze.
A distanza di 30 anni dall’articolo di Dostoevskij è scoppiata la prima guerra mondiale. A causa proprio dei nazionalismi la sua fine ha fissato, con la sottoscrizione della pace, le condizioni per lo scoppio della seconda guerra mondiale.
Per i latini la pace era quella diffusa fra gli uomini, celebrata da Virgilio alla fine della guerra di Troia. Proprio un passo virgiliano illumina, forse più di ogni altro testo antico, la nozione romana della pace, intesa nei suoi aspetti essenziali religiosi e giuridici.
Si tratta dei versi 847-853 del libro VI dell’Eneide: la pax latina indica più semplicemente il presupposto e la premessa di un contenuto, piuttosto che il contenuto stesso, solo in un secondo tempo pax passerà ad indicare lo stato di quiete che deriva dalla conclusione della pace.
La radice pak-è “rendere saldo, fermo” con un’accezione sacrale che portava alla pace vera non a una situazione di pace, simile alla pax deorum, gerarchizzazione dei rapporti tra le parti contraenti, pur in presenza del idem placitum et consensum.
C’era allora una vocazione universalistica del popolo romano, seppure attraverso una serie ininterrotta di guerre al paci imponere morem, cioè di realizzare un interesse superiore, divino, di instaurazione della pax dove anche gli ex nemici potevano godere dei benefici insiti nell’osservanza delle leges pacis.
Ne consegue che per Virgilio, fin dall’origine della memoria storica del popolo romano, non esiste pace senza precise regole giuridiche, determinate dalle leges.
È indicativo il fatto che oggi non si adoperi il termine bellum latino ma guerra di ordine tedesca. Bellum da cui deriva il medioevale duellum era un combattimento ad armi pari che aveva luogo quando una parte si sentiva offesa e voleva soddisfazione. C’era allora il riconoscimento dell’altra parte e un confronto ad armi pari.
Guerra invece viene dal germanico werra, “mischia”, ed è un termine onomatopeico, che ricorda l’urlo di battaglia dei barbari.
Oggi l’Europa avverte una contraddizione che è rappresentata dal dominio della tecnica e della scienza a livello globale mentre la politica, e quindi il diritto che ne è una derivazione, è limitata a occupare spazi piccoli, nazionali, con un conseguente rapporto di subalternità della politica/diritto rispetto alla tecnica in senso lato.
La cultura non ha più voce, diventa impressione, come non hanno senso concetti come la democrazia, la libertà e l’avranno sempre meno se non ci sarà una politica in grado di inserirsi nel sistema tecnico/economico.
Decisivo per capire la crisi attuale è Kafka con “Il processo”. Cacciari dice che noi viviamo in un sistema che ci tiene sotto processo ininterrottamente, senza camicie nere, ci controlla continuamente, ci sorveglia, sa tutto di noi mentre noi non possiamo intervenire.
È il potere, il fatto, la norma, non c’é bisogno di una scritta, così al pari de “Il processo” c’è opacità e arbitrarietà dove c’è un esercizio del potere piuttosto che di giustizia, ma mentre per Kakfa c’è comunque la legge, seppure non fondata su principi etici chiari, oggi essa è completamente assente, incapace di regolare la tecnica che impera sulla volontà individuale indipendentemente dalla moralità e dalla giustizia.
Oswald Spengler ne “Il tramonto dell’Occidente” sostiene che la civiltà occidentale è destinata all’estinzione e già nel XIX secolo è entrata nella sua fase di “decadenza”, indicata “civilizzazione”, che corrisponde al suo mantenere in vita modelli culturali già morti.
Tale ultimo periodo della civiltà occidentale negli anni Venti è descritto come caratterizzato dal dominio del denaro e della stampa, che resiste alla sua fine solo per mezzo del cambiamento continuo di modelli di riferimento, ma questo comunque non la salverà.
Che la soluzione sia quella di muoversi verso uno Stato globale, come sosteneva Ernst Jünger?
Ma come intenderlo? Come la repubblica mondiale, ossia la federazione di Stati di Kant, piuttosto che una monarchia mondiale?
Cacciari afferma che è più irrealistica una monarchia universale perché può essere frutto solo di una guerra mondiale.
Alla fine della guerra fredda sembrava si potesse arrivare in maniera silente a una monarchia mondiale perché il vincitore aveva vinto in maniera palese, ma quella prospettiva non è praticabile è più verosimile un grande patto.
Ma quello che si è perso è lo ius in bello, ossia il diritto che deve essere rispettato anche durante la guerra, che pareva un limite invalicabile. Con l’attacco alla popolazione civile sin dalla prima guerra mondiale esso è venuto. Il nostro sistema così sta andando verso una decostruzione del diritto e con esso la perdita di ogni forma di umanità. Compito dell’intellettuale ,“quando non è chierico ed ha coraggio”, è quello di denunciarlo.

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