Marco Abrate racconta come è nata l’opera “Alla ricerca di un riparo”

Torino. L’arte può dire tanto in questi giorni. Può, forse, aiutarci a capire l’importanza di rimanere a casa più di qualsiasi norma giuridica e di qualsiasi hashtag che la community di Internet sia in grado di elaborare. Lo ha capito Marco Abrate, un giovane artista torinese, molto apprezzato anche all’estero, che da tempo opera sotto due nomi: Rebor e Mr. Pink. Lo incontriamo per farci raccontare come è nata l’idea di realizzare una installazione dedicata proprio all’attualità di questi giorni e scopriamo che intendeva collocare l’opera in qualche zona della sua cara città, per poi attendere che venisse recepita, diffusa e discussa sui social e sui media ma poi…

In questi giorni di emergenza sanitaria, hai creato per la collettività un’opera che, a ben vedere, offre molti spunti di riflessione. Come è nata l’idea di “Alla ricerca di un riparo”?
L’opera è nata dopo molta meditazione e percezione di ciò che stava per accadere. Ero nel mio cortile e ho chiesto ai miei fratelli di darmi una mano a dipingere di rosa un’intera tenda. Situazioni estreme, come quella in corso, obbligano spesso a fare scelte non previste. Da qualche tempo avevo in preparazione una mia opera che parlasse dell’attualità di questi giorni. Intendevo collocare l’opera, come è mia prassi, in qualche zona di Torino, per poi attendere che venisse recepita, diffusa e discussa sui social e sui media.
I recenti sviluppi mi hanno però convinto a operare diversamente.
Nel momento attuale infatti la percezione, la sensibilità, la capacità di lettura e di analisi possono subire delle alterazioni imprevedibili. Il messaggio che avevo intenzione di diffondere, non solo critico ma anche latore di una visione ottimistica, avrebbe rischiato di essere frainteso o addirittura allarmare. L’effetto sorpresa, di spiazzamento che di solito cerco di ottenere quando le persone stentano a reagire, rischierebbe oggi un effetto contrario al mio messaggio. Ho deciso quindi di rovesciare completamente il mio modus operandi proponendo in anticipo le immagini del mio lavoro, che precederanno la sua collocazione fisica. Si tratta di un’opera di grandi dimensioni, pensata per essere non solo vista ma anche vissuta, attraversata, abitata e che installerò presto, nel momento opportuno, in qualche luogo di qualche città. Nel rispetto delle normative odierne nazionali, l’opera sarà visibile nel mio giardino supportando l’hastag #iorestoacasa e prima di essere collocata nelle strade o nelle piazze di una città. Il messaggio è quello di evidenziare la fragilità umana e la paura di un nemico invisibile, sottolineando quanto l’immagine oggi sia più forte che mai.
In momenti del genere è bene usare la saggezza anziché la sola logica, perché di fronte alla paura, ogni persona reagisce diversamente. Questi spazi, come i tendoni per il triage d’emergenza, dovrebbero indurre sensazioni di sicurezza e consolazione ma diventano agli occhi simboli di ansia, di paura, prigioni biologiche. L’opera della tenda ha un particolare: una porzione di azzurro sul tettuccio.
È come se il cielo irrompesse nello spazio chiuso della tenda e si proiettasse al mondo dando speranza, coraggio, elevandosi e travalicando ansia e affanni. All’interno una luce, simbolo di speranza e ricerca. Accesa anche di notte.

Quanto pensi che sia importante il ruolo dell’artista in un momento difficile come quello che stiamo vivendo?
Essenziale, l’artista è un po’ come “uno jedi” nell’arte…
L’idea che non esista un futuro è oggi troppo diffusa, ed è così che nei momenti di crisi molte persone si perdono in pensieri negativi dimenticando la preziosità della vita. Questa terribile pandemia è un nemico invisibile e tocca chiunque. Ma è anche grazie ad essa che inconsapevolmente ci sentiamo di essere più vicini alle persone. Persone che non si sono mai incontrate con lo sguardo da un palazzo all’altro ora si sentono vicine. Si recupera anche un senso di impegno dove nulla è scontato, nulla è eterno, tutto ha inizio e fine. Tutti i più grandi mutamenti sono preceduti dal caos. E anche se il timore porta a giudizi negativi, è bene scegliere la speranza. È proprio nei momenti più difficili che l’arte ha un compito essenziale per l’umanità. Per questo non mi fermo, e per questo sono sempre pronto. Penso inoltre che oggi non si debba fermare il ruolo dell’artista: è necessario approfondire la realtà, con nuove e anche impreviste modalità. L’artista deve dare importanza alla comunicazione, con relazioni che lo aiutino a emanare pensieri e soluzioni sempre nuovi con il proprio lavoro. Senza strategia, il lavoro, anche se geniale, non verrebbe capito e rimarrebbe soffocato dal frastuono della contemporaneità.
Amo la frase di Chales Darwin che dice “Non è la specie più forte o più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento”.
Mi ha sorpreso l’impatto che l’opera ha avuto sui social e il fatto che sia stata condivisa in Italia e in molti altri paesi, come l’Iran e il Giappone. Ricevo molte adesioni per il messaggio di speranza giunto a molte persone. Segnalo che la modella giapponese Miyu Hayashida ha sostenuto l’opera postandola sulle sue Instagram stories.

La ricerca artistica di Marco Abrate si articola secondo due direttrici (Rebor e Mr. Pink) di fondo: ci racconteresti come convivono?
Il nome Rebor è uno pseudonimo che porto con me dall’esperienza underground di street artist. Non posso però ancora svelare i motivi e i significati ad esso legati. Un giorno lo farò. Rebor e Mr. Pink sono due discorsi differenti ma con lo stesso codex.
Non è stata una mia scelta bensì della gente che è incappata nella mia prima opera, un enorme pneumatico rosa in piazza San Carlo. Ecco dunque dove è e come è nata l’altra estensione artistica.
Non era mia intenzione iniziale dividere Rebor da Mr. Pink ma le strade hanno preso spontaneamente due direzioni diverse e ho iniziato ad apprezzarne i benefici.
Ciò mi permette di esprimere emozioni diverse.

Quali sono i tuoi progetti futuri e… i sogni nel cassetto di Marco Abrate?
Sto già realizzando il mio sogno, alla ricerca di cieli aperti.
Dai tempi del liceo collaboro con il mio carissimo amico Dennis Pezzolato che ha voluto realizzare un corto cinematografico insieme alla videomaker Valentina Giorgi del gruppo “Banana Killers”.
Insieme ai miei collaboratori sto elaborando un manifesto artistico. Presto ci saranno novità.
Voglio ringraziare tutti i collaboratori che accompagnano il mio lavoro: persone di spessore per cui ho molta stima, come amici, maestri e critici d’arte, curatori, giornalisti, e insieme con la mia famiglia.
Quando potrò finalmente esporre l’opera nella sua realtà, la presenterò sotto il cielo infinito, dove sarà accompagnata (forse) delle note belle di Swan Lake, Op. 20, Act II n. 10 di Pëtr Il’ič Čajkovskij.

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