“L’opera d’arte: una mano tesa al nemico perché cambi”, la manifestazione in memoria di Don Milani

Firenze. Dal 19 al 21 settembre tre giorni di spettacoli, incontri e dibattiti al Teatro della Pergola su don Milani e l’arte nel centenario della nascita del priore di Barbiana. Il titolo, “L’opera d’arte: una mano tesa al nemico perché cambi”, è tratto da “Lettera a una professoressa”. Tra gli ospiti, Flavio Insinna, Sergio Castellitto (in video), Tomaso Montanari, Anna Meacci, Fabio Monti. Don Milani e i suoi ragazzi hanno definito l’arte con parole vibranti e concrete, con parole semplici ma che nascondono una ricchezza profonda: «Così abbiamo capito che cos’è l’arte. È volere male a qualcuno o qualche cosa. Ripensarci sopra a lungo. Farsi aiutare dagli amici in un paziente lavoro di squadra. Pian piano viene fuori quello che di vero c’è sotto l’odio. Nasce l’opera d’arte: una mano tesa al nemico perché cambi». Questa visione dell’arte se da un lato evidenzia la parte inconscia e oscura dell’arte dall’altra riconosce all’arte un tentativo di comunicazione fraterna, mediante la quale si può parlare ai nemici. Nella frase «una mano tesa al nemico» c’è l’enfasi del mettere in atto un tentativo di «donare espressione» a chi non ce l’ha. L’arte è comunque un’attività collettiva. Per don Milani scrivere o fare arte richiede tecnica per cui non esistono geni della scrittura o se esistono la loro genialità è comunque riconducibile alle conoscenze tecniche che essi hanno avuto la fortuna di apprendere. L’arte si insegna allo stesso modo in cui si insegna la matematica, la fisica, la grammatica. Si comincia martedì 19 settembre, ore 21, con l’Introduzione di Rosy Bindi, Presidente del Comitato per il centenario della nascita di don Lorenzo Milani, e i Saluti delle istituzioni toscane. Alle 21:30 “Rileggere don Milani”, presenta Giovanni Anversa, legge Flavio Insinna, con l’accompagnamento musicale di Franco Vichi al flauto. Il rapporto di don Lorenzo Milani con il mondo del cinema è assai complesso e significativo. Se, da un lato, in ”Esperienze pastorali”, segnala il rischio di un utilizzo “intensivo” e non critico del cinema quasi gareggiando con altre agenzie culturali dell’epoca, in particolare le “Case del Popolo” non manca di far vedere ai suoi ragazzi alcuni dei capolavori del cinema italiano, particolarmente quello neorealista. Arrivando addirittura a suggerire la sceneggiatura di un film su Gesù in una lettera al regista francese Maurice Cloche. Dopo la sua morte, poi, la sua testimonianza è stata protagonista di varie opere cinematografiche fino ad anni recenti. Il pomeriggio di studi promosso da Acec Toscana intende approfondire questa prospettiva, con alcuni contributi di studio e la presentazione della vasta ricerca realizzata in collaborazione con Acec nazionale, Fondazione don Milani e Istituto Luce Cinecittà, e che ha raccolto una ricca e potenzialmente completa collezione di contenuti audiovisivi realizzati in varie forme e contesti (lungometraggi, documentari, servizi televisivi, ecc.), messi a disposizione gratuitamente sui siti delle istituzioni coinvolte. Delle proprie competenze pittoriche don Milani si avvale nella sua attività di maestro soprattutto a Barbiana: preziosi manufatti testimoniano che il prete/maestro non era un dilettante. E in tutte queste opere si documenta il desiderio di un’arte che esprime spirito di ricerca, ansia delle verità, cammino verso la coscienza critica, convincimento che la forza vera dell’uomo sta nella ricerca costante e continua, una ricerca alimentata da un sentimento di inquietudine profonda. «Il mio cuore è inquieto finché non riposa in te o Signore» (Sant’Agostino). È questa inquietudine che preserva l’uomo dall’appagamento dogmatico delle verità o quanto meno relativizza le nostre verità. Questo cammino di ricerca, sotto la guida del suo padre spirituale don Bensi, lo portò alla scelta di farsi prete: «È tutta colpa tua… perché tu mi hai parlato della necessità di cercare sempre l’essenziale, di eliminare i dettagli, di vedere le cose come un’unità dove ogni parte dipende dall’altra. A me non bastava tutto questo su un pezzo di carta. Non mi bastava cercare questi rapporti tra i colori. Ho voluto cercarli tra la mia vita e le persone del mondo. E ho preso un’altra strada».

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