L’arte di Maria Lai, tra ricorrenze e questioni giuridiche

Ulassai. Nel 1981 si svolse a Ulassai, in Sardegna, la storica performance “Legarsi alla montagna” dell’artista Maria Lai, che proprio in quel piccolo comune in provincia di Nuoro ebbe i natali. Caposaldo dell’Arte Relazionale, fu un evento unico che vide la partecipazione dell’intera comunità del luogo in un giorno simbolico come l’8 settembre, data in cui ricorreranno quest’anno i quarant’anni.
Contattata inizialmente dal sindaco del paese per realizzare un monumento ai caduti in guerra, l’artista rifiutò la proposta suggerendo, invece, un’opera per il presente, per i vivi: tra discussioni e trattative, con l’affiorare di vecchi rancori tra la popolazione che all’inizio si rifiutò di collaborare, dopo un anno mezzo l’idea di Maria Lai riuscì a prendere forma e fu in seguito riconosciuta in tutta la sua importanza. L’operazione, dalla lunga gestazione, durò tre giorni e vide protagonista un nastro azzurro di cotone lungo 27 km che venne dapprima tagliato, poi distribuito e quindi legato insieme agli abitanti di casa in casa, tra porte, finestre e terrazze; infine, grazie ad un gruppo di scalatori esperti, il nastro venne portato sul Monte Gedili, la montagna più alta sopra il paese, emblema di vita e di memoria, annodando così la comunità anche al suo monte.
La performance prendeva ispirazione dalla leggenda “Sa Rutta de is’antigus”, ovvero “La grotta degli antichi”, legata ad un fatto realmente accaduto nel paese quando, nel 1861, un costone della montagna si staccò e travolse un’abitazione uccidendo alcune bambine: una, però, riuscì a salvarsi inseguendo, probabilmente, un nastro azzurro che sfilava nel cielo, evitando così il crollo della grotta. L’evento fu visto come un miracolo dalla popolazione e il racconto venne tramandato di generazione in generazione in un miscuglio di verità e fantasia.
Maria Lai coinvolse donne, bambini, pastori, anziani in quella che si rivelò una grande festa e che ridisegnò le relazioni vecchie e nuove della comunità: “Lasciai a ciascuno la scelta di come legarsi al proprio vicino. E così dove non c’era amicizia il nastro passava teso e dritto nel rispetto delle parti, dove l’amicizia c’era invece si faceva un nodo simbolico. Dove c’era un legame d’amore veniva fatto un fiocco e al nastro legati anche dei pani tipici detti su pani pintau”. Non fu facile legare il paese, “i rapporti cordiali sono rari, la regola è tenere le distanze”, disse in seguito Maria Lai, la quale confessò anche che le donne furono le prime a lasciarsi coinvolgere. Il suo grande lavoro di ascolto e di incontro permise alla performance di riuscire: il nastro, da cui l’idea si sviluppò, rappresentava un forte elemento identitario ed entrando nel tessuto urbano, tra le case fino alla montagna, rese visibile la trama dei rapporti sociali mettendo altresì in connessione passato e presente.
La critica nazionale, però, fu scettica nei confronti dell’artista e “Legarsi alla montagna” fu vista per lungo tempo soltanto come un evento folcloristico: fatta eccezione per Filiberto Menna, che capì subito il valore dell’esperienza, ci vollero venti anni per riconoscere che si trattava della prima operazione di quella che solo più tardi venne definita Arte Relazionale, con la partecipazione del pubblico al compimento dell’opera. L’oggetto d’arte si trasformava in un luogo di dialogo, di confronto e, appunto, di relazione e assumeva centralità il processo, la scoperta dell’altro, l’incontro: con la sua opera performativa sul territorio, l’artista sarda aveva fatto emergere il significato dell’essere comunità, del vivere collettivo.

Dopo il primo e più celebre evento, la relazione di Maria Lai con Ulassai continuò con diverse sculture, installazioni e disegni murali che hanno fatto del piccolo paese un museo a cielo aperto che ospita anche opere di altri autori. Nel 2004 la stessa Lai e il Comune istituirono la Fondazione Stazione dell’Arte e da quell’accordo nacque, nel 2006, il Museo Stazione dell’Arte: situato nei locali dell’ex stazione ferroviaria di Jerzu, finanziato dal Comune e dalla Regione, in esso è conservata la collezione pubblica più importante e completa dell’opera dell’artista, donata da lei stessa quando era ancora in vita. Lo statuto della Fondazione prevede che le opere facciano parte del proprio patrimonio e che i proventi derivanti dall’utilizzo delle stesse, come biglietti, libri, poster, siano considerati di proprietà della Fondazione per la realizzazione degli scopi dello statuto, a sostegno della divulgazione dell’arte di Maria Lai.
Oggi, però, tutto ciò è messo in discussione poiché il Tribunale Civile di Cagliari ha riconosciuto Maria Sofia Pisu, nipote di Maria Lai, che a sua volta aveva costituito una fondazione dopo la morte dell’artista, erede esclusiva dei diritti d’autore su tutte le sue opere, inibendone l’utilizzo da parte della Fondazione. In una interpretazione letterale dell’art. 109 della legge sul diritto d’autore in base al quale “La cessione dell’opera non comporta, salvo patto contrario, la trasmissione dei diritti d’autore”, il giudice ha ritenuto che Maria Lai avesse trasferito alla Fondazione solo la proprietà fisica delle sue opere e non i diritti di utilizzazione economica. Nel reclamo avverso l’ordinanza, però, i legali della Fondazione e del Comune ribattono che la decisione, “basandosi su un mero, quanto erroneo, formalismo”, si distaccherebbe “in maniera distruttiva dalla realtà dei fatti che il diritto è chiamato a regolare” e che renderebbe priva di scopo e di senso la costituzione della Fondazione Stazione dell’Arte.
Si tratta indubbiamente di un duro colpo, in primo luogo per la Fondazione che, se confermato il provvedimento, rischia forse di non poter sopravvivere e di dover chiudere il Museo, che compie quindici anni proprio quest’anno, ma anche per il Comune di Ulassai che ha sempre sostenuto le attività legate a Maria Lai e per l’intera comunità visto il suo profondo legame con l’artista intrecciato tanti anni fa. Basterà seguire il nastro azzurro nel cielo per trovare una soluzione e riannodare i legami?

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