“La ragazza sul divano”, al Teatro Strehler l’opera del premio Nobel Jon Fosse

Milano. Dopo il debutto, in prima nazionale, a Torino, arriva al Teatro Strehler, dal 9 al 14 aprile, “La ragazza sul divano” con la regia di Valerio Binasco, prodotto dal Teatro Stabile di Torino e dal Teatro Biondo Palermo.
Il regista affronta l’opera di Jon Fosse, drammaturgo norvegese, premio Nobel per la Letteratura 2023, indagando il tema dell’abbandono e raccontando come le ferite affettive subite durante l’infanzia non guariscano mai del tutto.

“La ragazza sul divano” racconta di una donna di mezza età che dipinge il ritratto di una ragazza seduta su un divano, combattendo contro i dubbi sulle proprie capacità artistiche. L’immagine che la perseguita – quella della giovane accovacciata su un sofà – è l’istantanea di lei stessa da giovane, agitata da profonde inquietudini: il rapporto contrastato con la madre, l’invidia per la sorella maggiore e il desiderato ritorno del padre, per il quale prova una passione al limite del lecito.
Valerio Binasco, riconosciuto come il principale interprete italiano di Jon Fosse, mette in scena l’opera, composta nel 2002 per il Festival di Edimburgo, affidandosi ad un cast d’eccezione: Pamela Villoresi, protagonista, lo stesso Valerio Binasco, Michele Di Mauro, Giordana Faggiano e Isabella Ferrari.

«Il tema principale de ‘La ragazza sul divano’ – spiega il regista – è l’abbandono. In molte opere di Fosse torna, come un sogno ricorrente, una donna che aspetta il ritorno di un uomo che è partito per mare e non è più tornato. In questa pièce i quadri che la Donna dipinge sono il punto di vista di chi guarda una nave partire e svanire verso un orizzonte ostile, simbolo di una minaccia che non riguarda solo il mare, ovviamente. Ma si può anche cercare in quel dipinto la simbologia di una nave che si lascia alle spalle la tempesta. Il dipinto simboleggia il Padre che se ne va verso la sua idea di vita (il mare); la figlia, rimasta sola, reclusa nella vita d’appartamento, è percossa dal mare di un’acerba femminilità, così come da quella tempestosa della madre e da quella autodistruttiva della sorella. Il dipinto è incompiuto, come è giusto restare – incompiuti – se si vuole parlare dell’attesa: chi aspetta resta sospeso, come sospesa è la sofferenza purgatoriale dell’eterna attesa di un padre che non ritorna mai».

Prosegue Binasco: «La scelta di allestire un’opera – come scrissi tempo fa a proposito della commedia ‘Sonno’ di Jon Fosse, e in cui mi ritrovo ancora adesso – a volte nasce da minimi segni, come certe pietre sul sentiero danno l’indicazione di un percorso; altre volte è il titolo stesso un indizio ermetico di qualcosa che stiamo cercando, perché si cristallizza in un’immagine che si trasforma in un personaggio: allora ti vien voglia di continuare a guardarlo, vuoi vedere cosa fa e finisci col trovarti al suo fianco, nel suo mondo. Altre volte, addirittura, un personaggio ci appare come un volto visto in sogno: al risveglio non si è sicuri di chi sia davvero, ma si sente di amarlo, chiunque sia. Amo la percezione fuori fuoco della realtà che trovo nei testi di Fosse. Ogni volta ho la sensazione di trovarmi dinnanzi a un grande affresco sull’umanità, ne percepisco fortemente il senso ma non riesco a metterlo a fuoco. È come se venissi costretto a guardare solo la luce o l’ombra che c’è tra una cosa e un’altra, tra una persona e un’altra. Fosse è un autore che istiga in modo irresistibile il mio bisogno di fare teatro con delicatezza, da ritrattista, un teatro da innamorato dei volti delle persone, dei loro occhi, del loro silenzioso e spesso inutile fluire attraverso la vita».

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