“La morte a Venezia”, Liv Ferracchiati esplora il rapporto che unisce bellezza e atto creativo

Milano. Dopo aver attraversato, con “HEDDA. GABLER” e “COME TREMANO LE COSE RIFLESSE NELL’ACQUA”, le parole di Ibsen e Čechov, Liv Ferracchiati – artista associato al Piccolo Teatro – torna a Milano, prima al Teatro Studio Melato e poi al Teatro Grassi, con due spettacoli: “La morte a Venezia” (15–25 maggio), produzione Spoleto Festival dei Due Mondi, Marche Teatro, Teatro Stabile dell’Umbria, Fondazione Teatro di Napoli, in collaborazione con il Piccolo e “Stabat Mater” (27 maggio–1° giugno), produzione Centro Teatrale MaMiMò, Marche Teatro, Teatro Nazionale di Genova, Teatro Stabile di Torino, secondo capitolo della Trilogia sull’identità, presentato per la prima volta nel 2017 e ora riproposto in una versione completamente rinnovata. «Nulla esiste di più singolare, di più scabroso, che il rapporto fra persone che si conoscano solo attraverso lo sguardo»: a partire dal romanzo di Thomas Mann, Liv Ferracchiati esplora il rapporto che unisce bellezza e atto creativo. Non un adattamento teatrale de “La morte a Venezia” ma un percorso scenico, liberamente ispirato al romanzo, che combina tre diversi linguaggi: parola, danza e video. Una macchina fotografica su un treppiede al limitare delle onde e uno scrittore che muore su una spiaggia per aver mangiato delle fragole contaminate dal colera: distaccandosi dal tema dell’omoerotismo e della differenza d’età, rimane l’incontro a Venezia tra due sconosciuti, Gustav von Aschenbach e Tadzio. «Il tentativo – commenta il regista – è di avvicinare questi due personaggi a noi e, allo stesso tempo, di raccontare la fatica di scrivere e come questa fatica, alla fine, sia squarciata da momenti rari, bellissimi e terribili, fatti di incontri con altri esseri umani». «Un raro esempio di riuscita commedia italiana dal sapore anglosassone. All’interno di una struttura drammaturgica complessa e gestita con mano ferma, spiccano dialoghi credibili e incalzanti, ricchi di una destrezza ironica che ricorda il primo Woody Allen»: con questa motivazione, nel 2017 la giuria del Premio Hystrio Scritture di Scena scelse come vincitore Liv Ferracchiati e il suo “Stabat Mater”, storia di uno scrittore 30enne che cerca di diventare adulto e di trovare una propria collocazione nel mondo, emancipandosi dalla figura materna e tendando di abbattere i più tossici stereotipi maschili. Con un nuovo cast e un allestimento completamente rinnovato, lo spettacolo torna ora in scena in una forma diversa, nella volontà di far rivivere un progetto che, precorrendo i tempi, aveva trattato tematiche politicamente e socialmente centrali quali l’autodeterminazione e la libertà d’espressione identitaria

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