Roma. Raccontare Mia Martini è molto rischioso e lo è per tanti motivi. Non si può condensare in poche parole il suo talento, la sua straordinaria capacità interpretativa, la sua sofferenza, la sua vita spesa per la musica. Eppure Riccardo Donna, attraverso una regia sapiente, è riuscito a far assaporare, soprattutto ai millenials, la bellezza dell’anima di Mimì, la sua purezza, incompresa e oltraggiata da un ambiente che non le ha fatto alcuno sconto.
Realizzato grazie alla sinergia tra Nexo Digital, Eliseo Fiction e Rai Fiction, dal 14 al 16 gennaio, nei cinema di tutta Italia, sarà proiettato “Io sono Mia”, mentre a febbraio il film andrà in onda su Raiuno. Il biopic è dedicato alla vita della indimenticata Mia Martini, magistralmente interpretata da Serena Rossi, cantante ed attrice che ha portato sul grande schermo un omaggio struggente e reale, perché se la sua voce è molto simile a quella di Mimì di certo le movenze e l’interpretazione dei brani sono vicini alla perfezione.
La storia ha inizio e si conclude nel corso del Festival di Sanremo del 1989, che sancì in qualche modo il ritorno dell’artista sulle scene: in quell’anno Mia Martini regalò al pubblico “Almeno tu nell’universo”, capolavoro scritto da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio nel lontano 1972 ma Lauzi convinse Mimì ad interpretarlo solo molti anni dopo, giustamente consapevole della potenza espressiva di colei che gli avrebbe dato vita.
In questo lasso temporale conosciamo una giovanissima Domenica (questo il nome all’anagrafe dell’artista) che dinanzi allo specchio della sua cameretta, con una spazzola come microfono, canta “Every time we say goodbye” di Ella Fitzgerald. Mia fu duramente osteggiata dal padre e compresa solo dalla madre, una donna che l’accompagnerà durante gli inizi della sua carriera in giro per l’Italia. Grande assente nel film è Renato Zero, che non ha fornito l’autorizzazione ad essere citato, ma che Donna ricrea mediante il personaggio di Anthony, eclettico cantante che stringe amicizia con Mimì e con Loredana Bertè, interpretata da una prorompente e irriverente Dajana Roncione che è riuscita a comunicare in modo efficace la personalità della sorella minore di Mimì.
La pellicola fa rivivere le esibizioni del suo complesso jazz, la collaborazione con l’impresario Alberigo Crocetta che per primo intuì il potenziale insito nella giovane artista attraverso “Padre davvero”, brano che Serena Rossi interpreta con un dolore assai vicino a quello che avrà provato Mimì all’epoca, anni in cui un testo del genere destò profondo scalpore regalando la notorietà a Mia ma complicando ancora di più il suo rapporto con il padre che per molto tempo non volle incontrarla. Impossibile non citare l’incontro con Califano che scrisse per lei “Minuetto”, brano dolcissimo e complesso, un vestito su misura per Mimì.
Altro assente è Ivano Fossati che visse con Mimì un amore intenso e tormentato, quasi distruttivo: il regista ha affidato ad Andrea, interpretato da Maurizio Lastrico, il ruolo del grande amore di Mia, un fotografo amante della musica che vivrà con lei momenti bellissimi ma anche contrasti violenti ed incomprensioni che inesorabilmente porteranno alla fine della loro relazione.
Nel film aleggia costantemente l’ombra gettata addosso a Mia, l’infamante marchio che l’aveva etichettata come colei che portava sfortuna, un’accusa disgustosa che l’artista ha dapprima ignorato sperando che si annullasse da sé ma che poi le ha distrutto letteralmente la vita. Dicerie, voci messe in giro da gente piccola, invidiosa di quell’enorme talento racchiuso in una donna fragile. Perché Mimì era fragile, era buona, desiderava vivere solo della sua musica e così è stato fino al suo ultimo respiro. “Tu non sarai mai felice” recita il padre di Mimì e questa frase ha il sapore di una maledizione perché Mimì toccò la felicità senza mai viverla del tutto. Il riscatto di Mia è avvenuto solo dopo la sua morte, quando la sua voce e la sua bravura sono entrate nella leggenda regalandole il rispetto e l’amore che avrebbe meritato soprattutto da viva.