“Il Frigo”, con il suo trasformismo Massimo Verdastro incanta il Ridotto del Teatro Mercadante

Napoli. Lo scorso 7 novembre Massimo Verdastro è stato indiscusso mattatore del Ridotto del Teatro Mercadante, dove ha calamitato su di sé 80 sguardi assiepati sulle gradinate di questo spazio, nato proprio come finestra sul repertorio contemporaneo, proponendo “Il Frigo” di Raul Damonte Botana, in arte Copi, drammaturgo, scrittore, attore e disegnatore franco-argentino, nella traduzione di Luca Coppola e Giancarlo Prati; Verdastro è anche in correggia con Giuseppe Sangiorgi.
Si tratta di un unico atto della durata di un’ora in cui un attore solo interpreta sei personaggi tutti a proprio modo bizzarri, che narrano con cinismo e ironia il loro mondo tragico, superficiale, fatto essenzialmente di solitudine, desiderio di apparire e incomunicabilità, nel quale si vengono a creare situazioni paradossali ogni qualvolta entrano in contatto, il tutto in un’atmosfera surreale.
Verdastro è magistrale nel suo trasformismo, nella mimica, nella sua irriverenza e nell’essere padrone della scena in cui si muove cambiando pelle non solo d’abito e facendo dialogare i propri personaggi, entrando e uscendo rapidamente da ciascuno, rendendo ognuno con grande profondità e intensità espressiva, in un ritmo che è incalzante, talvolta frenetico.
E così è Madame, ex modella che si è data alla scrittura delle sue memorie, la madre interessata solo al suo denaro con il quale si paga i gigolò di colore, Goliatha la cameriera, l’autista, marito della cameriera dalla quale è violentata, l’editore, il cane, senza contare che interagisce con la dottoressa Freud – bambola/psichiatra – e anima il topo/pupazzo col quale Madame decide di accompagnarsi, come se fosse un nuovo compagno e, infine, Bebè Volpe, la pelliccia.
Ciascuno di loro rappresenta non altro che le ossessioni e gli incubi di L, il protagonista della pièce, che è costretto ad abitare in una scena grigio-nera occupata dal Frigo ed esce solo per fare spazio alle proprie ansie che assumono le vesti dei sei personaggi che rappresentano l’umanità che L vuole tenere fuori dalla propria vita.
Nessuno di loro ha intenzione di aprire il frigorifero gigante, regalo di compleanno della madre, che campeggia in soggiorno, perché nessuno è capace di andare a fondo e affrontare le paure e gli smarrimenti che ne conseguono, quasi fosse presagio di morte.
Gli interrogativi che si pongono sono sempre gli stessi: chi sono? Da dove vengo? Detto però nel linguaggio di Copi che è ora di commedia, poi di farsa, per diventare tragedia e trasformarsi in pochade, dando come risultato una disperazione cosmica.
Nell’allestimento delle scene, Pier Paolo Balestrieri ha voluto rendere, attraverso il pavimento nero lucido e specchiante e i due grandi specchi sullo sfondo, lo sdoppiamento dell’immagine per evidenziare come quella di L sia moltiplicata nei sei di cui L è il contenitore. Belli i costumi di Roberta Spegne per i quali non c’è una distinzione di genere.
Complice lo spazio ristretto e l’assoluta mancanza di distanza con l’attore, si può cogliere la grande attenzione che Verdastro pone nel dare voce ai singoli personaggi, curando ogni minimo dettaglio: dallo sguardo, al gesto, alla mimica facciale e di come questa padronanza assoluta del testo e della messa in scena gli consenta di divertirsi e far divertire chi è lì a guardarlo.

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