Fenomeno overtourism: e se la terra fosse in overbooking?

Madrid. L’Organizzazione mondiale del turismo (OMT ovvero, secondo la sigla internazionale UNWTO, United Nations World Tourism Organization), agenzia internazionale istituita in seno all’ONU, ha definito l’overtourism come «l’impatto del turismo su una destinazione, o parti di essa, che influenza eccessivamente e in modo negativo la qualità della vita percepita dei cittadini e/o la qualità delle esperienze dei visitatori». In altre parole, si tratta di un sovraffollamento turistico che coinvolge le città d’arte così come le località balneari e di montagna, italiane e non. Un’arma a doppio taglio, che da un lato costituisce strumento di crescita economica e dall’altro danneggia lo stesso territorio in cui si sviluppa. Il margine finale della stagione estiva 2023 offre l’occasione per una breve riflessione su tale tematica. Se la pandemia e le relative limitazioni agli spostamenti delle persone hanno ridimensionato la portata del problema che fino al 2019 era stato al centro delle ricerche e delle pubblicazioni dell’UNWTO, già dal 2022 i flussi turistici internazionali hanno ripreso a crescere con ritmi pre-pandemici.
Secondo l’ultimo barometro dell’UNWTO, report periodico sui dati del turismo, nei primi tre mesi del 2023 si stima che hanno viaggiato a livello globale circa 235 milioni di persone, più del doppio dello stesso periodo del 2022 (www.unwto.org, ndr). Alla luce dei dati provvisori ISTAT, nel mese di aprile 2023 il movimento dei clienti degli esercizi ricettivi (alberghieri ed extra-alberghieri) italiani è stato appena inferiore ai 28 milioni di presenze (www.eslporadati.istat.it, ndr).
Il problema colpisce trasversalmente ogni tipologia di meta turistica con effetti più o meno simili dappertutto. Il turismo selvaggio porta, infatti, ad una difficile convivenza tra i viaggiatori e gli abitanti del posto che pian piano tendono a spostarsi dall’originario luogo di residenza. Le attività caratteristiche locali lasciano spazio ad imprese più in linea con il turismo mordi e fuggi, in particolare inerenti alla ristorazione low-cost e ai franchising delle grandi catene internazionali. L’offerta delle strutture ricettive non alberghiere tende poi ad adeguarsi a standard architettonici internazionali, più confortevoli per il turista ma che allo stesso tempo comportano la perdita di identità dei luoghi. Tendenzialmente, si genera anche un impatto ambientale negativo.
Venezia, una delle mete più colpite a livello internazionale da questo fenomeno, ha provato a difendersi prima con l’introduzione del divieto per le grandi navi da crociera di accedere al bacino e al canale di San Marco e al canale della Giudecca, poi programmando l’istituzione di tornelli per l’ingresso in città che, al momento, sembrano essere stati accantonati in previsione di un accesso dei visitatori su prenotazione e previo pagamento di un contributo giornaliero.
Nei giorni di maggiore afflusso, i suggestivi sentieri del Parco Nazionale delle Cinque Terre possono essere percorsi soltanto a senso unico, così come durante le festività natalizie la nota strada dei presepi, in via San Gregorio Armeno, a Napoli.
Si tratta di piccoli strumenti per arginare il fenomeno che però non lo risolvono in radice. Nello studio dell’UNWTO del 2018 sull’overtourism si suggerisce, tra le altre cose, di adottare politiche che favoriscano la diffusione dei turisti anche nelle aree limitrofe alle città, nonché un afflusso di visitatori costante durante l’intero anno.
Molteplici sono le località colpite da questa problematica: da Roma a Firenze, da Positano a Dubrovnik, dalle isole greche fino ad arrivare all’Islanda. Ad oggi, il fenomeno è amplificato dai trend delle principali piattaforme social considerato che il flusso di dati a portata di pollice ben si presta ad essere seguito dal flusso dei turisti. A ben vedere, risulta davvero difficile viaggiare verso mete che hanno mantenuto la propria autenticità e che poco hanno risentito della presenza dell’essere umano.
In una prospettiva più ampia, occorre evidenziare come in passato nessuna generazione ha potuto viaggiare quanto quella attuale. Il “viaggio” è un’attività ricreativa e culturale che rappresenta una colonna portante della società contemporanea. Alla fine del 2022, durante la COP27, l’ONU ha fatto presente che dal 2010 la popolazione mondiale è cresciuta dai 7 agli 8 miliardi; si pensi che nel 1950 si contavano 2,5 miliardi di abitanti. Se dunque l’umanità viaggia, è chiaro che la terra possa essere in overbooking.

Crediti foto: Helena Jankovičová Kováčová.

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