“Fai ciao” di Flavio Ignelzi è la traccia di un futuro coniugato al passato

Napoli. “Fai ciao” è l’ultimo lavoro di Flavio Ignelzi, edito da Alessandro Polidoro Editore. Amante della narrativa breve, dopo la raccolta di racconti “I punti in cui scavare” (Polidoro, 2019), vincitore del Premio Wojtek, Ignelzi torna sulla scena letteraria con un romanzo decisamente originale.

“Fai ciao” è, infatti, il racconto di un disagio giovanile, di una solitudine contemporanea che nel contesto di una imprecisata città di provincia trova terreno fertile per ambientare la vita di Samuel, il protagonista di queste pagine. Il romanzo, sin dalle sue prime “inquadrature” getta il lettore in uno stato di suspense, grazie alla notevole capacità descrittiva dell’autore. La linea emotiva è tesa, segue lo sfrigolio dell’olio bollente nel quale la madre di Samuel sta friggendo le cotolette: “La carne gorgoglia come se fosse assalita dai piranha e il friggimento copre la canzone alla radio. Tre cotolette: Samuel le riconta per essere sicuro”.

La scrittura è asciutta, misurata, magnificamente ponderata per disvelare a poco a poco la sequenza degli eventi, costruiti secondo un regresso progressivo e il tempo, anche il tempo finge di scorrere come tutti lo conosciamo. Il lettore ha un estremo bisogno di sapere, si sente in dovere di sciogliere il mistero che il giovane cela dentro di sé. Cosa c’è in lui che non va? La causa del fallimento è di certo nel ménage familiare, nel rapporto conflittuale con la madre. E il padre? Il padre di Samuel lo conosciamo poi, all’inizio conosciamo solo “l’altro”.

Tutto procede in silenzio, la vita, la scuola, il tempo libero di Samuel sono ricoperti da un alone cupo e border line; gli intervalli sublimi della sua esistenza sono scanditi dai riff provocati dalle chitarre dei Black Sabbath, ascoltati rigorosamente in cuffia, ogni volta che si congeda dal mondo. È un romanzo di formazione che strizza l’occhio al thriller con venature in stile gotico testimoniate dai luoghi aperti e selvatici che divengono teatro di ambientazione delle scoperte del giovane protagonista.

Un piccolo breve viaggio che lascia il lettore attonito per quanto reale sia il ritratto di un’esistenza smarrita e priva di punti di riferimento. Non ha più niente da perdere Samuel dopo l’improvvisa scomparsa del padre. Non gli resta che il suo ricordo, racchiuso in quel piccolo orologio, segno del suo passaggio come un profondo solco nella terra.

È un ragazzo intelligente ma non è abbastanza per contrastare l’azione violenta dei compagni di classe, sente ancora i calci e i pugni nella schiena mentre – perso tra i suoi pensieri – decide di incamminarsi verso “la villa”.

“È quell’ora della tarda mattinata in cui le nebbie novembrine, che infrangono la valle e tutti i suoi abitanti, si disperdono per qualche ora, spinte da una brezza leggera che smuove le fronde rendendo l’aria limpida e i contorni nitidi”. Il tempo qui si perde, letteralmente, ma lui procede verso l’ignoto. A volte, l’ignoto è l’unica strada certa per cominciare una nuova vita.

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