Ermal Meta e gli Gnu Quartet incantano il Teatro Bellini

Napoli. Prendete un giovane cantautore dalla sensibilità rara e aggiungete un quartetto di fiati ed archi. Immaginate di collocare questi musicisti in una cornice da sogno, ubicata nel salotto buono di Napoli. E poi riempite il teatro con l’entusiasmo del pubblico campano. Fatto? Bene, allora avete tutti gli ingredienti per assistere ad un incantesimo ricco di magia.
Ieri sera Ermal Meta e gli Gnu Quartet hanno calcato il palcoscenico del prestigioso Teatro Bellini portando sulla scena uno spettacolo denso di emozioni, quelle che solo la musica fatta con il cuore riesce a comunicare.
Ermal non dev’essere presentato perché ribadire ancora una volta il suo percorso artistico rischierebbe di confinarlo in un’area che non gli appartiene, almeno non più, quella di chi deve ancora ricordare i km macinati per raggiungere traguardi brillanti. Ormai il suo nome racchiude in sé l’umiltà di chi ha lavorato e lavora sodo per vivere di musica, di chi ha stretto tra le mani premi e riconoscimenti ma non dimentica che quelle dita hanno scalato montagne ripide prima di raggiungere vette eccelse. Perché il talento è innato, è vero, ma la forza di volontà è il motore che concretizza una passione. Gli Gnu Quartet, alias Francesca Rapetti (flauto), Roberto Izzo (violino), Raffaele Rebaudengo (viola) e Stefano Cabrera (violoncello), sono un quartetto musicale nato nel 2006 che nel corso della propria carriera ha omaggiato cantautori del calibro di Fabrizio De Andrè, si è esibito con gli Afterhours e i Baustelle e, oltre ad accompagnare Ermal Meta, quest’anno sarà in tour con una leggenda come Francesco De Gregori. 
Questo tour nei teatri voluto da Ermal è nato dal desiderio di proporre le sue canzoni con arrangiamenti totalmente nuovi, realizzati con strumenti che quasi sempre vengono associati esclusivamente alla musica classica. Ed invece Meta ha voluto rischiare, si è messo in gioco ancora una volta ed ha vinto. Perché quelli che ha portato sul palco non sono più i suoi successi, sono brani completamente diversi, che non hanno indossato l’abito chic che si addice ad una location da favola, si sono proprio trasformati. Gli archi e i fiati hanno amplificato lo strumento più potente, ovvero la voce di Ermal, che abbracciata da suoni così eterei ha acquisito ulteriore forza, personalità, anima. E anche i fan più strenui, e chi scrive appartiene fieramente a questa categoria, hanno faticato non poco per riconoscere dai primi accordi il brano che di volta in volta sarebbe stato interpretato. Lo stupore del pubblico era tangibile e altrettanto facile è stato scorgere chi si asciugava furtivamente una lacrima perché una canzone aveva toccato luoghi inesplorati del cuore.
Una scaletta ignota, scoperta brano dopo brano, che ha spaziato dalle ballate più struggenti ai ritmi più serrati, mentre su quel palco i cinque musicisti non suonavano né cantavano ma si divertivano, gioivano con il pubblico campano, mai sazio di gratitudine.
Ad aprire il concerto è stato Cordio, giovanissimo cantautore scoperto e prodotto da Ermal che con notevole lungimiranza ha saputo intuire il grandissimo potenziale di questo ragazzo, apparso sulla scena con palpabile emozione. Melodie contraddistinte da una grande delicatezza e testi profondi su cui riflettere come “Il paradiso” e “La nostra vita”.
Alle 21.15 circa il sipario si è aperto mostrando dapprima gli Gnu Quartet e poi Ermal che con passo felpato ha raggiunto il pianoforte ed ha intonato “Voce del verbo”, trasformatasi da canzone a preghiera corale.
Spazio poi a “Lettera a mio padre” che trafigge ad ogni ascolto, soprattutto chi conosce la storia di Ermal e la rispetta, come è giusto che sia. Sguardi attoniti e cuori tremolanti su “Piccola anima”, intonata dapprima dal pubblico mentre Meta sorrideva entusiasta. E, ancora, “Vietato morire” e “Non mi avete fatto niente”, che in soli 12 mesi è diventata inno di speranza per 49 paesi nel mondo e che in questa nuova veste è ancora più intensa e sentita, un mantra che scuote le coscienze. 
Una rapida carrellata sulla storia de “La fame di Camilla” con “Due lacrime”, “Niente che ti assomigli”, “Sperare” – quest’ultima incorniciata dal battito del cuore di Ermal sapientemente riprodotto accostando il microfono alla giugulare – testi poco apprezzati quando Meta era il frontman della band ma che già tradivano la raffinatezza della sua sapiente scrittura. Il sound trascinante di “Dall’alba al tramonto”, la sensualità di “Caro Antonello”, il cuore che si allarga sulle note di “Quello che ci resta” e “Le luci di Roma”, l’incalzante “Bob Marley” che sconfina in “Billie Jean” di Michael Jackson, la richiesta di aiuto in “Mi salvi chi può”, la nostalgia e il ricordo pulsante in “9 primavere”. Nessuna scenografia presente, solo tante sfere luminose che, conformandosi all’alternanza del ritmo, scendevano o si sollevavano sottolineando con discrezione lo straordinario spettacolo sul palco.

Un’ondata di arte con pause ironiche per le quali bisogna ringraziare Ermal perché lui ama far ridere di gusto il suo pubblico raccontando dei tanti concerti insieme alla sua vecchia band, quando il successo era un miraggio ma l’amore per la musica era più forte di tutto. E il sacro rispetto per la lingua napoletana, così complessa eppure così affascinante per Ermal. Gli occhi velati dalla commozione e il suo sorriso che si allarga sempre più quando il pubblico intona “ ‘O surdato ‘nnamurato”. Tanti piccoli momenti che hanno aggiunto preziosità ad un live già perfetto nella sua forma primigenia. Il suo ritorno sul palco per il bis con “Unintended”, cover dei Muse, e “Amara terra mia” di Modugno che dal 2017 è diventata un cavallo di battaglia di Ermal e che gli è valsa il Premio della Critica “Mia Martini” al Festival di Sanremo.

Infine il saluto sulle note di “A parte”, quel ciao sussurrato tra Ermal e il suo pubblico che fatica a lasciarlo andare via, soprattutto in Campania. Perché lui stesso afferma di sentirsi a casa quando calpesta il suolo partenopeo, perché la veracità e l’amore di Napoli non si possono descrivere ma solo vivere. “Non riesco ad andarmene!” dichiara Ermal da quel palco con gli occhi velati di lacrime e la mano che batte forte sul petto, uno sguardo che abbraccia il suo pubblico che lo acclama da ogni angolo del teatro. L’ondata di amore lo investe ogni volta con la forza prorompente di un uragano e lui, mai pago di questo affetto, l’afferra tutto.
E quando il sipario si chiude ci si alza da quella poltrona quasi storditi per le emozioni provate, come se la bolla magica fosse esplosa all’improvviso catapultandoci nuovamente nella realtà.

E forse è racchiusa in questo la bellezza della musica: la capacità di percorrere mondi inesplorati usando solo il cuore e l’udito, un viaggio che si rinnova ad ogni partenza e che ci fa giungere alla meta trasformati e ricchi di gratitudine per la meraviglia vissuta.

 

Un sentito ringraziamento a Giusy Russo per i suoi magnifici scatti.

 

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