Ancona. Aldo Grassini è il Presidente, con funzioni di Direttore, del Museo Tattile Statale Omero di Ancona, ideato da lui e da sua moglie Daniela Bottegoni nel 1985 (www.museoomero.it). Essendo entrambi non vedenti e, al contempo, amanti dell’arte, stanchi del “Vietato toccare” affisso nelle esposizioni di tutto il mondo, realizzano nel concreto il loro desiderio di poter ammirare l’arte.
Il Museo, dopo una lunga gestazione, venne ufficialmente inaugurato il 23 maggio 1993 dal Comune di Ancona con il contributo della Regione Marche e su ispirazione dell’Unione Italiana Ciechi. All’epoca era collocato in tre aule della Scuola Carlo Antognini di Ancona; oggi è situato all’interno della Mole Vanvitelliana e si estende in uno spazio di circa 3.000 metri quadri.
Il Direttore è, ormai da anni, voce nota nel campo della fruizione dei beni culturali alle persone diversamente abili, con una peculiare attenzione a coloro che “usano le mani come occhi”. Proprio per questo motivo abbiamo deciso di intervistarlo.
In occasione della prima esposizione del Museo Tattile Statale Omero quali criteri vi hanno guidato nello scegliere le opere?
Siamo partiti da un progetto fatto con i docenti dell’Istituto d’arte “Liceo Artistico Edgardo Mannucci” di Ancona, i quali hanno proposto una serie di opere, seguendo un criterio storico e cronologico, con l’idea nel tempo di ampliare sempre più l’offerta. Insomma, volevamo fosse un piano a lungo termine che nel suo corso mostrasse anche un’evoluzione.
Questa crescita è stata graduale anche per ragioni economiche, infatti nella scelta delle opere non potevamo prescindere dalla disponibilità economica, ma allo stesso tempo era nostro desiderio che il risultato fosse quanto più verosimile possibile… abbiamo puntato alla qualità più che alla quantità.
Le prime opere erano di scultura classica e venivano realizzate attraverso dei calchi. Essendo un prodotto di nicchia, poche delle statue da noi scelte si trovavano già sul mercato, infatti inizialmente è stato difficile trovare ditte disposte a produrle.
Oltre alla statuaria avevamo in progetto anche modellini di monumenti noti, come ad esempio il Pantheon o la Basilica di San Pietro. Questi richiedevano la mano di artigiani esperti, perché non potevano essere fatti con degli stampi.
In un secondo momento la collezione si è arricchita con elementi di arte contemporanea: vantiamo la presenza, fra gli altri, di lavori di Francesco Messina e Giorgio De Chirico. Ci tengo a precisare che, limitatamente al periodo storico-artistico in oggetto, abbiamo proceduto acquistando non riproduzioni, bensì gli originali. Va anche detto che, in qualche sporadico caso, si è trattato di donazioni.
Fino ad oggi il Museo ha avuto un’organizzazione prettamente cronologica, il prossimo allestimento prevede invece un itinerario tematico, improntato sull’uso della tattilità.
Come avrà notato, non trattiamo la pittura, ma lo facciamo per scelta. A Bologna vi è già l’affermatissimo Museo Tattile Anteros che si occupa di opere pittoriche riprodotte in basso rilievo, così abbiamo deciso di occuparci di qualcosa di diverso, che fosse una nostra peculiarità.
L’arte contemporanea tende a dividersi in due gruppi: da un lato composizioni estremamente sintetiche, dotate di grande semplicità compositiva, dove la difficoltà risiede più nell’interpretazione che non nella lettura del soggetto; dall’altro una serie di opere pensate soprattutto per generare un forte impatto visivo, penso ad esempio ai complessi architettonici realizzati dal professor Renzo Piano o alle espressioni artistiche di Marina Abramović. Come crede che ci si possa muovere per poter rendere fruibile la contemplazione di quest’ultime anche alle persone non vedenti o ipovedenti?
Senza dubbio ci sono alcune opere dell’Abramović che non possono coinvolgere tutti, questo però non vuol dire che tutta l’arte contemporanea sia così, anzi, l’indirizzo che sta prendendo è sempre più quello della multisensorialità ed è proprio questa ad aprire la strada all’accessibilità. Multimedialità e multisensorialità sono infatti le parole d’ordine del nostro prossimo allestimento.
In merito all’architettura, come ho detto anche nel mio libro “Per un’estetica della tattilità. Ma esistono davvero le arti visive?”, l’idea che questa sia un’arte visiva è un’errata convinzione dei vedenti. Infatti l’opera architettonica non nasce per essere vista, ma per entrarci dentro con tutti i sensi e viverla, perché se non riesce ad assolvere questa funzione, vuol dire che non è una bella composizione, ma solo una magnifica cartolina.
Consideri, ad esempio, il ponte di Calatrava a Venezia. Sarà sicuramente bello da vedere, essendo fatto di vetro e acciaio, ma non è per nulla funzionale: moltissime sono le segnalazioni di persone che sono scivolate. Oltretutto, inizialmente mancava un passaggio per le persone diversamente abili e quando poi fu creato, venne subito chiuso perché inadeguato.
Nell’accedere ad una chiesa, la mia attenzione non è focalizzata sull’aspetto esteriore, che comunque posso cogliere grazie ad un modellino, ma sulla risposta sensitiva che ho toccando le colonne o i pulpiti, sull’acustica che cambia dall’ingresso all’altare, sull’olfatto attivato dalla consueta presenza di fiori o di incenso.
Le racconto quest’episodio, per spiegarmi meglio. Quando sono entrato nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze, c’erano moltissime persone, ma credo che chi fosse impegnato a guardare la cupola non abbia notato questa cosa: camminando sotto la luce della cupola tutti i suoni che prima percepivo distintamente si sono allontanati progressivamente fino quasi a scomparire… era come se fossi immerso nell’acqua… ho provato una sensazione di infinito.
Purtroppo la nostra civiltà e la nostra cultura adotta una gerarchia dei sensi, dove il tatto occupa l’ultimo posto; tuttavia quando viviamo, lo facciamo con tutti e cinque i sensi, eliminarne alcuni vuol dire avere una percezione astratta del mondo. Oggi, la battaglia è quella di riabilitare l’uso della tattilità, la stessa Maria Montessori parlava dell’educazione dei sensi nella percezione della realtà, a partire proprio dai bambini.
Nella presentazione del progetto COME-IN! tenutasi tra il 16 ed il 18 novembre 2016 a Trieste, in introduzione si riporta un’affermazione dell’architetto Fabrizio Vescovo, autorevole voce nel campo della progettazione senza barriere, il quale sosteneva che il problema dell’accessibilità non fosse la mancanza di leggi quanto la loro applicazione. Lei, che posizione assume rispetto quest’affermazione, considerata anche la sua partecipazione al Gruppo di lavoro che il 6 luglio 2018 ha pubblicato le linee guida per la redazione del P.E.B.A. (Piano di Eliminazione delle Barriere Architettoniche) nei musei, complessi museali, aree e parchi archeologici?
Fabrizio Vescovo era una persona veramente intelligente ed appassionata. Nei vari incontri, a cui ho avuto modo di partecipare, riteneva sempre che tutti gli enti devono fare un P.E.B.A, in virtù anche della Legge 13 del 1989. Chiaramente quando s’interviene per rendere accessibile qualcosa che inizialmente non lo era, ci sono costi impegnativi da affrontare; in questi casi è necessario fare un piano magari quinquennale che renda quel bene, attraverso una progressione di interventi, quanto più fruibile a tutti. Fare un P.E.B.A. vuol dire porsi un obiettivo.
Con la circolare 26 dell’odierno Mic, datata 25 luglio 2018, abbiamo proseguito i lavori che portarono Vescovo ed i suoi colleghi alla stesura delle “Linee guida per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturale” ratificate con il decreto del 28 marzo 2008. Con questo documento si è cercato di fornire, agli addetti alla Gestione di Beni Culturali, le procedure da attuare per consentire a tutti di goderne a pieno.
Certo, non esiste una legge che dice “Devi fare questa cosa”, ma il problema non è questo: ciò che manca è la cultura dell’accessibilità.
In effetti, la presenza di provvedimenti o di una legge non garantirebbe necessariamente il rispetto della norma (fruibilità per tutti), ma, al contrario, l’assenza delle normative, può essere colmata dalla conoscenza e dalla cultura.
Quando, nel progettare un museo, l’architetto si porrà la domanda: “Come fare perché tutti ne fruiscano?”, allora vorrà dire che l’attenzione alla disabilità sarà entrata a far parte della formazione di ognuno. Le posso comunque dire che, da questo punto di vista, sono fiducioso: pensi già a quest’intervista, trent’anni fa sarebbe stata inimmaginabile.
Io non voglio essere utopista, ma, avendo una certa età, ho vissuto le battaglie degli anni ‘70 e ricordo bene che, dopo l’entrata in vigore della legge 517 del 1977, per qualche anno in alcune scuole le mamme ritiravano i propri figli se in classe avevano un disabile; oggi questo non succede. Forse un giorno la stessa cosa accadrà per l’arte.
Ormai da un anno ci troviamo a casa, tuttavia, nelle ultime visite da Lei effettuate presso poli museali, quali problematiche urgenti ha avuto modo di constatare? Ritiene, invece, che ci siano esempi che, per la loro ottima accessibilità, meriterebbero di essere segnalati?
Il muro c’è, ma inizia a sgretolarsi!
Premetto che, quando è nato il museo, eravamo una voce che gridava nel deserto. Oggi, quasi quotidianamente riceviamo richieste d’intervento per migliorare il percorso di visita, per proporre soluzione per rendere fruibili determinate opere o formare personale specializzato.
Anche le università iniziano ad interessarsi al problema, ultimamente, ad esempio, abbiamo tenuto corsi per la Libera Accademia di Belle Arti di Brescia.
Il vero problema, che ancora non si riesce a sradicare, è quello del “non toccare”. Il cartello che impone il divieto va posto solo dove effettivamente esiste una ragione per cui io non lo possa toccare, ma le garantisco che quasi sempre non c’è un reale motivo.
Qualche anno fa mi sono anche sentito dire che, date le mie problematiche, mi dovevo recare in un museo tattile. Quest’idea che, per “vedere” qualcosa, mi devo recare in un struttura in cui sia ammessa la tattilità è una cosa veramente assurda.
A dimostrazione del fatto che si sta aprendo una breccia nel mondo della non accessibilità, ricordo che, già nel 1984, il Museo Egizio di Torino iniziò a consentire ai cechi di toccare la statuaria egizia. La Galleria degli Uffizi, ormai da una decina d’anni ha aperto, per persone non vedenti, un itinerario contenente una ventina di sculture romane, che si possono toccare con i guanti. Da ultimo, i Musei Capitolini che, attraverso una visita tattile- sensoriale, propongono un approfondimento della conoscenza della Galleria Lapidaria.
Nel numero 12 della vostra rivista digitale “Aisthesis” (https://www.museoomero.it/servizi/pubblicazioni/rivista-aisthesis-scoprire-larte-con-tutti-i-sensi/), nell’articolo del professor Giancarlo Galeazzi viene citato il filosofo Cacciari, che pone l’accento su come l’emergenza sanitaria abbia portato ad un incremento dell’esperienza digitale a danno di quella fisica nei musei; in questo senso mi permetto di dire che, con il re style del sito del Museo, così come affermato nel numero 15 della rivista “Aisthesis”, il Museo Tattile Statale Omero sembra essere perfettamente al passo con i tempi. Il problema più urgente, però, è un altro, come continua a mettere in luce Cacciari con l’esclamazione “Pensiamoci!” nel medesimo articolo: “Cosa accadrà quando potremo tornare nei musei?”. Il vostro museo quali misure ha adottato, o adotterà, per continuare a consentire una piena esperienza sensoriale?
Se è vero che la chiusura dei musei ha dato un duro colpo a tutti, noi abbiamo sicuramente pagato un prezzo ancora più alto, perché, nonostante io sia un uomo molto fantasioso, era troppo costoso spedire le opere a casa delle persone. A parte gli scherzi, un museo improntato sull’uso della tattilità come fa a raggiungere il pubblico in un momento in cui non si può avere nessun tipo di contatto?
Noi abbiamo cercato di sfruttare gli strumenti che esistono e sono utili. Come giustamente ricordava, abbiamo migliorato il sito, cercando di renderlo quanto più accessibile, cosa che non è così scontata. Pensi che, nonostante la legge 4 del 9 gennaio 2004, la maggior parte dei siti web ancora oggi non prevedono la consultazione per i non vedenti.
In questo periodo emergenziale, non potendo sfruttare il tatto, abbiamo lanciato una serie di attività che sfruttano l’udito, come ad esempio conferenze o iniziative musicali, cercando di andare verso la multisensorialità.
Quando tutto ciò sarà finito, dobbiamo tornare a come eravamo prima. Certo, alcune cose potranno rimanere, ad esempio la sanificazione, ma questo lo facevamo già: affinché sulle opere non rimanessero aloni e non si rovinassero, chiedevamo al pubblico di disinfettarsi le mani.
In merito alla tecnologia, devo dire che è sicuramente una grande risorsa, ad esempio per poter tenere una conferenza ad Ancona con un pubblico che, qualora non riesca a venire in presenza, può collegarsi da tutto il mondo: è veramente una cosa bellissima.
Detto ciò, rimango dell’idea che la scrittura non debba sostituire la parola, abbiamo bisogno di interagire di persona, quindi ben venga la digitalizzazione ma ricordiamo che dobbiamo essere noi la parte agente.