Arte e vita di Spinello Aretino nel nuovo volume di Aristide Bresciani

Firenze. Tanto ingegno e giudizio nella pittura da essere pari a Giotto nel disegno, e perfino superarlo nell’uso del colore: queste le doti riconosciute da Vasari a Spinello Aretino, protagonista assoluto della pittura toscana nella seconda metà del Trecento. Finora, nonostante le mole di studi e contributi critici sulla sua opera, una sola monografia gli era stata dedicata: quella firmata da Stefan Weppelmann nel 1993 e tradotta in italiano nel 2011 da Polistampa. Nel solco dello storico d’arte tedesco, lo studioso Aristide Bresciani torna oggi sull’argomento firmando un saggio illustrato che analizza vita e arte dell’Aretino dando conto delle indagini critiche più recenti e offrendo nuove e originali ipotesi interpretative. Il volume, edito sempre da Polistampa, è intitolato “Spinello di Luca detto Aretino” e inserito nella collana “Universitario / Storia dell’Arte”.
Dalla formazione presso la bottega aretina di Andrea di Nerio, fino ai grandi cicli di affreschi realizzati per le chiese di San Miniato al Monte, Santa Croce e Orsanmichele a Firenze, per il Camposanto di Pisa o per il Palazzo Pubblico di Siena, il percorso artistico di Spinello di Luca Spinelli (Arezzo, 1350 ca. – 1410) è ricostruito in un excursus dettagliato e appassionante, intessuto di approfondimenti sui diversi contesti storici e culturali che hanno fatto da sfondo ai continui spostamenti: il pittore concentrò infatti la sua attività non solo su Arezzo, Firenze, Lucca, Pisa e Siena, ma anche in centri minori come Città di Castello, Sansepolcro, Cortona e Orvieto, dove trovò importanti committenti. L’analisi dettagliata dei lavori lascia spazio a nuove attribuzioni: è il caso, ad esempio, di una Madonna col Bambino (1390-1393) oggi nei depositi del Museo Nazionale di San Matteo di Pisa, tradizionalmente ricondotta a Taddeo Gaddi o, genericamente, a un pittore di ambito toscano della metà del secolo XIV. “L’opera in verità è più tarda”, spiega Bresciani, “databile probabilmente all’ultimo decennio del Trecento o poco prima, e ha pochissime affinità con le Madonne del Gaddi: la trovo invece molto più vicina alla pittura di Spinello, alle sue Madonne dall’aspetto trasognato”. Gli apparati, che si concentrano anche sulle opere da considerarsi perdute e sui falsi comparsi sul mercato antiquario, completano un saggio che si presenta dunque ricco di spunti per la ricerca accademica. “D’ora in avanti – spiega il professor Angelo Tartuferi nella prefazione – gli studi sul Trecento aretino e sull’eredità artistica lasciata dal grande pittore dal serio animo drammatico, per dirla con Giovanni Battista Cavalcaselle, non potranno prescindere dal cimentarsi con questo volume”.

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