Annig Raimondi porta in scena il capolavoro di T.S. Eliot “La terra desolata”

Bologna. Annig Raimondi porta in scena al Teatro delle Moline il capolavoro di T.S. Eliot “La terra desolata”, nella traduzione di Roberto Sanesi.

Pubblicato nel 1922 e dedicato a Ezra Pound, il testo è suddiviso in cinque sezioni ricche di elementi simbolici e archetipici contenuti nelle descrizioni di situazioni e paesaggi. Dalla tradizione letteraria al mito, dalla storia all’epica, dalla religione all’antropologia culturale, tutto è confluito in un’opera che attinge alle filosofie orientali (Veda, Upanishad) e ai testi sacri, dai profeti biblici, dall’Ecclesiaste, dall’Apocalisse e da Sant’Agostino: un’allegoria dello spirito smarrito in una simbolica città europea.
Annig Raimondi percorre una galleria di eccentrici ritratti (dapprima una diva da café chantant, poi una donna fatale, una donna quotidiana, un titanico guerriero…) dove la voce si moltiplica e si spersonalizza variando registri e timbri, sottolineando la condizione dell’uomo moderno che, persa la propria centralità, tenta di recuperarsi assumendo tonalità sempre diverse.

“Nella sua struttura frammentaria, divagante, spericolatamente giocata su una molteplicità analogica, associativa, opposta a una narrazione consequenziale e tuttavia così unitaria per insistenza tematica, “La Terra desolata” si presenta come testo di straordinario interesse per una esecuzione in forma teatrale. Si intuisce, nella rapidità del montaggio delle varie scene, nel suo procedere per stacchi, spostamenti di tempo e luogo, riprese del leit-motiv, variazioni di tono e di linguaggio, una drammatizzazione del testo poetico che approfitta indifferentemente dei congegni del teatro elisabettiano, del music-hall popolare, della poesia ‘metafisica’, della sacra rappresentazione medioevale, della costruzione allegorica, del nonsense ironico o infantile come della suggestione simbolista”.
La voce recitante (e Annig Raimondi lo ha compreso benissimo, visto che se ne assume le ragioni e il peso) si moltiplica e si spersonalizza nella variazione dei registri senza negare la sua centralità. Il testo si trasforma in teatro da camera, diventa – se si può dire – monologo a più voci, e in perfetta consonanza con il tema solleva il problema di un Io in crisi, di un Io che sentendo di aver perduto la propria centralità tenta di recuperarsi in un contesto (storico, culturale) di voci altre e diverse.

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