A Modena arriva “La trilogia sull’identità” con Liv Ferracchiati

Modena. Nell’ambito del progetto “Teatro Arcobaleno”, dal 21 al 26 gennaio il Teatro delle Passioni di Modena ospita “Trilogia sull’identità” di Liv Ferracchiati.
Classe ’85, una laurea al Dams di Roma e una in regia teatrale alla Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi” di Milano, Liv Ferracchiati occupa un posto di riguardo nel panorama italiano della nuova drammaturgia under 35. I suoi spettacoli “Todi is a small town in the center of Italy”, “Peter Pan guarda sotto le gonne” e “Stabat Mater” sono stati selezionati da Antonio Latella per la Biennale Teatro 2017.
Nella trilogia, Ferracchiati affronta il tema dell’identità di genere interrogandosi sulla nostra natura di essere umani e sulla possibilità di essere liberi.
Il primo capitolo Peter pan guarda sotto le gonne in scena il 21 e il 22 gennaio, racconta l’infanzia di un undicenne degli anni ’90 nato in un corpo femminile.
Il centro tematico del lavoro è la scoperta dei primi impulsi sessuali e lo scontro con i genitori per affermare la propria identità. Con questo spettacolo, come nel successivo capitolo della Trilogia, “Stabat Mater”, viene posta con forza la domanda su cosa significhi affrontare una transizione, anche solo mentale, dal femminile al maschile: un’esperienza destinata a dissolvere ogni certezza, tanto più se precoce.
Parola e danza sono i linguaggi scelti per il racconto: la drammaturgia testuale disegna un parlato semplice e realistico, tipico dei preadolescenti, attraverso il quale si ricerca leggerezza, mentre la danza tratteggia zone di senso diversamente inesprimibili.
In “Stabat Mater”, secondo capitolo della “Trilogia sull’identità” in scena il 23 e il 24 gennaio, viene raccontata la vicenda di un trentenne, scrittore, uomo di cui si possono notare gli aspetti più ordinari nonostante egli stia vivendo una situazione straordinaria. Tale straordinarietà consiste nel vivere al maschile quando tutti, almeno inizialmente, osservino come il suo corpo abbia sembianze femminili. Il tema centrale è l’emancipazione dalla madre, la difficoltà di diventare adulti. Anche in questo spettacolo vengono messe in discussione le certezze a cui ci appigliamo per non cadere in un territorio che potrebbe sfuggire al nostro controllo. La direzione dell’attore si fonda sullo sforzo costante di una ricerca dell’autenticità, è una sorta di seconda partitura testuale fatta di pause, relazioni, ritmi martellanti o blandi. Dinamiche emotive ogni volta rinnovate dall’ascolto dell’unicità del momento, una parola recitata, a tratti smozzicata, che, organica alla drammaturgia del testo, alterna momenti di quotidianità esasperata ad invenzioni che la vanno ad alterare, come quando i “Pensieri Elementari” del protagonista sospendono dialoghi e intreccio.
Il testo di “Stabat Mater” ha vinto il Premio Hystrio Nuove Scritture di Scena 2017.
A chiudere la trilogia il 25 e il 26 gennaio è “Un eschimese in Amazzonia”, spettacolo che pone al centro il confronto tra la persona transgender (l’Eschimese) e la società (il Coro), fino ad arrivare al paradosso che l’Eschimese si stanca di raccontare sé stesso. La società segue le sue vie strutturate e l’Eschimese si trova, letteralmente, a improvvisare, perché la sua presenza non è prevista. Il Coro parla all’unisono, attraverso una lingua musicale e ritmata, quasi versificata, utilizza una gestualità scandita, dando vita ad una società ipnotica, veloce, superficiale, a rischio di spersonalizzazione.
Il titolo: “Un eschimese in Amazzonia” è una citazione dell’attivista e sociologa Porpora Marcasciano che evidenzia l’incapacità della società di andare oltre il modello binario di sesso/genere, omosessuale/eterosessuale, maschio/ femmina e che quindi racconta la compromissione di un percorso di vita che potrebbe essere dei più sereni e tranquilli. La ricerca dei materiali per questo progetto inizia nel 2013 e ha collezionato interviste a molti uomini e donne transgender, a studiosi, a scienziati e a persone qualsiasi che non sapevano assolutamente nulla sull’argomento.

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