“Un’ora” raccontato dalla sua autrice

Foggia. In un’ora si possono fare tante cose. Si possono provare emozioni di ogni tipo, sia positive sia negative, ed è questo che ha suscitato la scrittrice Gina Emanuela Sorace. Classe 1980, barese, scrittrice poliglotta e nuotatrice. La incontriamo per farci raccontare del suo ultimo libro.

Di cosa parla la tua opera?

“Un’ora” è un romanzo che ruota attorno a tanti temi, la pedofilia femminile è il principale. Esistono madri incomplete e nevrotiche in grado di danneggiare irreparabilmente le proprie figlie. Riccarda è una madre inquietante, scambia la propria pulsione malata con l’accudimento. Sua cugina Monica è al corrente di tutto, ma come spesso accade nei casi di pedofilia, non denuncia perché vuole negare la brutalità della situazione. Inoltre, Monica nasconde un proprio segreto e denunciando la cugina perderebbe tutto. Ci sono misteri nel mistero in questo romanzo.

Un altro tema è l’ingiustizia. Anch’essa la sperimentiamo sulla nostra pelle. Ad esempio, non tutti arrivano dove meritano e, peggio ancora, chi ha un certo nome o una certa posizione acclarata non deve far nulla perché la sua strada è già tracciata. A questo si aggiunge, poi, che queste persone privilegiate disdegnano ciò che hanno a scapito di chi anela di avere.

Perché hai scelto questo titolo?

“Un’ora” è un tempo ben preciso. La storia di Monica rappresenta il calvario di molti giusti che subiscono i soprusi altrui e che si chiedono quando finirà. In qualche caso il dolore nasce dal fatto che si è arrivati tardi nel posto sbagliato. Insomma, arrivare un’ora dopo può essere fatale. Non posso svelare altro…

Quanto di te c’è qui?

Un paio di occhi che hanno assistito, quando trafficavo nell’ambiente dell’avvocatura, ad una storia assurda.

Come è nata la tua passione per la scrittura?

Leggo dall’età di cinque anni. A sette compongo il mio thriller dal titolo “Sotto lo stesso tetto” che mia madre, puntualmente, stronca. Da allora ho continuato a scrivere convinta che la strada giusta fosse quella esattamente opposta ai disegni di mia madre. Disattendere i suoi consigli è stato sempre un mantra per me e, adesso che l’ho perduta, mi sento smarrita e vado un po’ a fiuto. Sento la sua voce dirmi “No” e allora mi imbatto nell’impresa.

Quali sono stati gli altri libri che hai scritto?

Ho scritto in totale sette libri, di cui due sono saggi incentrati sui metodi di studio: “Come superare un esame universitario studiando solo 2 h” e “Istituzioni di farsi venire la voglia di studiare in 30 e lode giorni”. Inutile dire che sono andati letteralmente a ruba. Descrivevano ciò che come insegnante ho avuto modo di saggiare in sedici anni di esperienza, ovvero che la quantità spesso è sinonimo di qualità, ma anche la velocità può essere un valore aggiunto.

Ad esempio, diversi miei allievi hanno preparato, con me, in 2 ore, un esame e lo hanno superato; diversamente, ci sono stati alunni puntigliosi chini sui libri da mesi e mesi e che poi sono stati bocciati.

Soprattutto all’università bisogna conoscere cosa dire, come dirlo, quando dirlo e a chi dirlo. È la strategia che fa la differenza.

Ci sono state anche ristampe per le tue opere?

Da quando sono in self, senza editore, le mie opere hanno visto quasi sei ristampe e ne sono contenta. Sono in self publishing dai tempi di “Istituzioni di farsi venire la voglia di studiare in 30 e lode giorni” e poi con “Un’ora”.

Il mondo self è sinonimo di imprenditoria e consente ottimi risultati. Ho pubblicato “Un’ora” in 100 paesi e in 8 lingue grazie ad Amazon e ho trovato un mondo davvero accogliente.

Faccio un esempio: negli USA pubblicare in self e in inglese vuol dire essere capace, spavaldo e quindi la tua opera merita. Pensa che appena uscì “Just an hour”, la versione inglese di “Un’ora” postai la notizia nei vari gruppi Facebook di lingua inglese e lo comprarono in massa, a ritmo di 6 ebook al minuto!

In Romania e in Portogallo essere italiana e pubblicare in lingua è un sinonimo di bravura, di eccellenza e, quindi, il prodotto va acquistato perché perdere l’opportunità di leggerlo sarebbe un peccato. Per non parlare dei confronti proficui tra scrittori!

Ti racconto brevemente la differenza tra postare in un gruppo di scrittori emergenti italiani e scrittori emergenti statunitensi, latini o rumeni.

La quarta di copertina del romanzo postata all’estero attira complimenti, apre dibattiti sul tema del romanzo, calamita suggerimenti e nessun appunto sulla grammatica né osservazioni sul fatto che io mi autotraduca (tranne in Francia, dove un editor si offriva di risistemarmi il romanzo a pagamento!).

Stessa copertina postata in Italia e in italiano? Trovano, in sette righe, tre errori di punteggiatura e di grammatica, disdegnano il nome “Riccarda” e mi bacchettano perché mi rivolgo al lettore (come faceva il buon caro Tolstoj!). Dimenticavo… demonizzano le virgolette! Io uso i segni matematici come faceva Marinetti, sono spaziose e molto apprezzate dai miei lettori ultraquarantenni!

Sai cosa ne deduco? Che in Italia si aspetta dall’alto l’occasione e, nel frattempo, si critica chi lavora, mentre negli Usa se si vuole qualcosa la si costruisce autonomamente e si studia tantissimo eliminando il tempo per criticare gli altri!

Ci sono anche belle eccezioni.

Quali saranno i prossimi obiettivi?

Due traduzioni di “Un’ora” in due lingue molto difficili, poi, tre saggi nel 2020 ed una serie di gialli, con stessa protagonista, a partire dal 2021. Se ci sarà tempo, potrò anche un po’ dormire!

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