Teatro del Loto, una riflessione ed un pensiero stupendo per SIEDAS

Ferrazzano. Qualche settimana fa stavo vedendo la trasmissione della Gruber con ospite Serena Dandini che presentava il suo ultimo romanzo dedicato a Lee Miller.
Icona della moda durante e dopo la seconda guerra mondiale, considerata la più bella ragazza d’America, capace di ispirare grandi artisti come Man Ray e Picasso e di produrre lei stessa Arte (è stata la fotografa cui si devono i primi sconcertanti scatti del campo di concentramento di Dacahu, appena liberato dai nazisti), la Miller è stata una donna libera ed emancipata, in un tempo in cui era pressoché impossibile esserlo. “Una donna capace di inseguire le proprie ambizioni e i propri sogni”, come rimarca in studio la Dandini.

Ospite della trasmissione era pure Franco Locatelli, ematologo e Presidente del Consiglio Superiore della Sanità.
Tutti, in questi mesi, abbiamo imparato a conoscerlo e, per quel che mi riguarda, a stimarlo.
Lo reputo, infatti, oltre che eccellente uomo di scienze, che sa quel che dice (chiede attenzione per la pandemia senza fare il fenomeno e creare inutili allarmismi), anche fine intellettuale e uomo di garbo.
Un signore, che non alza mai i toni del dibattito. Anche se, forse, oggi, è più noto per quella sua voce stentorea e un po’ garrula, vagamente somigliante a quella di ET, o di un cartone animato.
Alla fine, comunque, una caratteristica che me l’ha reso anche più simpatico.

La Dandini, presentando la sua biografia romanzata – sull’esempio di Lee Miller – invita il pubblico televisivo a coltivare e inseguire i propri sogni.
Locatelli, collegato via Skype con lo studio della Gruber, ribadiva il concetto con una riflessione in più.
In apparenza logica ma che, in realtà, mi ha colpito perché forse non così scontata.
Come quando ti si accende di colpo una lampadina e ti ritrovi a ragionare su qualcosa che, sotterraneamente, hai magari sempre intuito ma che non sei mai riuscito a esprimere concettualmente.

Così, riprendendo l’invito della Dandini, in studio con la Gruber, il dolce Dottor ET (come l’ho ribattezzato) ripeteva, con quel suo stile placido ed empatico, di scienziato cui piace la digressione umanista, che i sogni sono certamente da coltivare ma che è bene accompagnarli da… PENSIERI LUNGHI!
Wow!!! Che bel concetto! – mi sono detto – E che bella definizione!…
Sì, perché avere sogni, più o meno grandi, in fondo è facile e può capitare a tutti!
Da bambini e anche dopo, da adolescenti, tutti abbiamo sognato magari di diventare un astronauta o Bufalo Bill, Maradona o Sofia Loren, Messner o Bruce Springsteen, Cassius Clay o Ella Fitzgerald e qualcuno, più intelligente, anche Einstein o Margherita Hack!
Nella maggior parte dei casi, però, sogni così, belli e impossibili, s’infrangono presto sugli scogli della nostra crescita. Appena diventiamo adulti.
E la realtà, a quel punto, ci sveglia di soprassalto e senza incedere in tanti altri voli pindarici ci chiede: “Mé?!…Mò che vuò ffà?!” (in dialetto molisano credo renda meglio l’idea).

Risucchiati dal nostro entusiasmo giovanile, il rischio a quel punto è di non essere più disposti a coltivare sogni… Salvo che, questi sogni, non si siano nel frattempo trasformati, appunto, in… pensieri lunghi.
Che è qualcosa di diverso dal mero sogno!
Perché il pensiero lungo è un sogno che si è stati capaci di mutare in progetto.
Qualcosa che – è nella natura delle cose! – abbandona l’aspetto onirico, per rafforzarsi come metodo: razionale, scientifico, storico.
Né per altro è detto che, il pensiero lungo, debba essere meno ambizioso del sogno!
Anzi! Il pensiero lungo è qualcosa che resta latente e vigile nella nostra mente e ci sfida continuamente… Da svegli! Non durante il sonno!

Per non perdere il filo di un pensiero lungo un po’ di cazzimma – come si dice a Napoli – o di capa tosta (come si dice da noi) bisogna pure dimostrarla!
Sì, perché il “pensiero lungo” è comunque qualcosa che ha a che vedere col contingente.
Forse, sarà meno spontaneo, libero e fascinoso di un sogno… Ma, alla fine, è qualcosa di molto più concreto e realizzabile e, di fatto, meno comodo e banale di un facile sogno.

Spesso, non si vedono subito l’esito e l’epilogo di un pensiero lungo, perché è qualcosa che bisogna inseguire con intuizione, studio, tenacia e fiducia. Soprattutto in sé!
Lo insegui, giorno dopo giorno – step by step – il pensiero lungo e ti obbliga a confrontarti con la realtà. Talvolta, anche a incazzartici, se è il caso, per raggiungere e superare i diversi passaggi del percorso che ti obbliga a intraprendere.
Non sempre, inseguire un pensiero lungo, è, per altro, un percorso facile.
Anzi, potrebbero essere molti più i giorni in cui davvero ti girano i maroni, rispetto ai giorni in cui il cammino sarà felice e agevole.
Spesso ti dovrai dannare l’anima per superare ostacoli e percorrere vie estreme. Soprattutto, se devi pure organizzare e mediare fra diverse teste e sensibilità.
Però, inseguire un pensiero lungo è, alla fine, qualcosa con cui ti puoi e ti devi cimentare. Se davvero vuoi evolvere!… Pure se i risultati saranno ben lungi dal rivelarsi immediati.

Può essere un puzzle, da comporre con pazienza, un pensiero lungo.
Un mosaico di cui devi subito intuire il disegno di massima, sapendo però che, quando ti metterai poi davvero a incastrare e incollare le migliaia di tessere, di cui, quel mosaico si comporrà, dovrai portare molta pazienza, dimostrare forza e non perdere mai la fiducia di realizzare bene la tua opera.
Anche quando, così bella, non ti sembrerà!

Inseguire un pensiero lungo può essere una partita a scacchi che decidi di giocare con te stesso.
Devi inventarti quelle aperture che ti consentiranno di giocare al meglio la partita, sapendo che non sarà facile arrivare a scacco matto.
Anzi, avendo coscienza che, in scacco, ci puoi finire tu.
Ci vuole intuizione e fantasia, studio e capacità d’improvvisare, tenacia e lealtà.
Ci vuole, insomma, un feroce e continuo allenamento per portare a termine partite così… Frutto di pensieri lunghi!
Fregandosene anche un po’ di quel che si dice in giro!
Che tanto, moralisti e gente con la puzza sotto il naso (che magari si lamentano che nulla accade ma subito pronti, se qualcuno “fa”, a criticare) ce n’è in ogni paese, ad ogni latitudine: “Se ie nun ò pozz’ fa… tu manch’ l’hai da fa!”, si dice dalle mie parti (trad. Se io non lo posso fare, nemmeno tu lo devi fare!).

Il LOTO è stato, certamente, in questi anni, il mio pensiero più lungo.
Il 16 marzo 2002, andai a trovare a Ferrazzano, da sempre considerato Belvedere di Campobasso, amici che recitavano nella filodrammatica che, nel teatrino della Casa Canonica locale, provava e presentava i suoi spettacoli.
Rientrai così, dopo anni, in quel seminterrato freddo e umido, frequentato a volte, durante il liceo, per un qualche veglione Mak ∏ 100, stile geghegè.

Un teatrino ricavato all’interno di un casermone quadrato, di fine anni ‘50, che, anche quando non era così trascurato, ha sempre rappresentato, piuttosto, un pugno nell’occhio in quella bella piazza, dal nome evocativo: “Spensieri” (sempre pensieri sono!).
Una piazza che, nel centro storico di Ferrazzano, è cinta dal seicentesco Castello Carafa e da bei palazzi settecenteschi, in pietra scalpellinata, che si aprono sulla caratteristica terrazza del Belvedere.
Un luogo che, da sempre, noi campobassani si raggiunge anche a piedi – così era per me da ragazzo – e dove ci si affaccia, per guardare dall’alto il Capoluogo del Molise e il suo territorio, con Monte Miletto e il Matese, le Mainarde e la Maiella, lì, in bella vista.
Beh, una volta entrato in quel seminterrato – che mi sembrò davvero spettrale – in un edificio anche più fatiscente di come lo ricordavo, tutto potevo immaginare – in quel frangente – fuorché, proprio lì, fra quella desolazione di muri umidi e scrostati, di anonime e fredde colonne e trabeazioni di cemento, stesse per concepirsi e iniziare a prendere forma il mio… pensiero lungo!

No, davvero! Non mi aspettavo la subdola intuizione che – quello squadrato e tetro salone di circa 220 metri quadri, alto quasi sei metri – stava per generare in me.
In quella struttura, abbandonata al suo squallore, con un seminterrato, trasformato in un ancor più squallido teatrino periferico.
Proprio lì, dove i miei amici stavano recitando un’opera pirandelliana che – in vero – poco mi appassionava e m’induceva piuttosto a distrarmi, per girare lo sguardo e soffermarmi, an passant, proprio sulle spigolature, più evidenti, di quella schematica architettura da paese balcanico di tradizione sovietica.

Com’era possibile che, quella desolante costruzione, mi sollecitasse a leggere, altre e più complesse linee (visibili in quel momento solo nella mia mente) fra quelle forme anonime e rigide?
Com’era possibile che, proprio lì, in quella fredda e umida sera di marzo, si stesse piantando il seme di uno dei Pensieri, e dei progetti, più lunghi che avessi mai elaborato?
Un pensiero, che avrei coltivato e inseguito per i miei prossimi… 20 anni!

Eppure, sì, proprio lì, quel 16 marzo 2002, ancora profondamente emozionato e segnato dal ritorno dall’Afghanistan, dove mi recai fra fine 2001 e inizio 2002 – subito dopo, quindi, l’11 settembre e la successiva spedizione americana di Enduring Freedom – come componente della Prima missione culturale del MIBACT, guidata da Vittorio Sgarbi (allora Sottosegretario) e da Alain Elkan (come Capo Ufficio Stampa) in quel paese martoriato dai Talebani e da 30 anni di guerre.
Una missione che ebbe il compito di riaprire l’Ambasciata italiana a Kabul, da poco liberata dai talebani, e certificare lo stato di conservazione o (il più delle volte!) di distruzione dei Beni culturali perpetrato dagli studenti coranici di Mullah Omar. A partire, da quanto fosse rimasto del Museo archeologico di Kabul e, a Bamiyan, di quelle che erano state le statue più imponenti e stupefacenti dell’antichità: i magnifici e grandi Buddha della Montagna. Polverizzati, dalla furia talebana, il 12 marzo 2001.
In pratica, un anno prima, rispetto a quel mio ritorno a Ferrazzano.

Lì, in quel teatrino piuttosto simile a un pidocchietto post bellico: con un palcoscenico, che era un’idea improbabile di palcoscenico, su cui si apriva e chiudeva (con non poche difficoltà) un sipario sgarrupato e liso di velluto blu, che sembrava piuttosto un malsano allevamento di acari; senza camerini in cui cambiarsi; con sedie sgangherate e gracidanti da cinema parrocchiale, su cui sedersi; con servizi, che non erano servizi ma un unico e non proprio igienico cesso alla turca (a rischioso uso di pubblico e attori).
In quel luogo, che nulla aveva di affascinante e che davvero non poteva generare alcun pensiero, tantomeno creativo e lungo, si piantò, in realtà, quella sera, molto radicato e seducente, il seme del mio.

Chissà?!
Forse, ero ancora suggestionato dall’incontro con il Ministro della Cultura afghano, che sapendomi uomo di Teatro – lui, che ne era amante – quando, con la delegazione italiana, fummo ospiti per un incontro ufficiale, a Kabul, presso il suo Ministero, volle intrattenersi a lungo con me.
Mi raccontò di come, una delle prime cose fatte dal suo Dicastero – nella Kabul da poco liberata dagli studenti coranici – che coincise con una delle prime libertà riconquistate, per la gente di Kabul, dal Governo Karzai, fosse stata proprio quella di: riaprire i teatri!

A dirla tutta… quel che restava dei teatri!
Rovine a cielo aperto, senza tetto e senza energia elettrica.
Luoghi fatiscenti dove però, finalmente, le donne del popolo – così mi disse accorato il Ministro – potevano finalmente riunirsi – di giorno (perché senza energia elettrica e senza tetto sugli edifici, solo con la luce del sole si poteva dar luogo alle rappresentazioni) – e piangere per… storie d’amore.
Quelle strappa lagrime, della tradizione afghana, più simili forse alle nostre sceneggiate o a alle storie musicali dei film di Bollywood.
Sempre meglio, però – ci tenne a rimarcare il Ministro – piangere per storie appassionanti, che per i loro uomini caduti in guerra, o fatti trucidare dai talebani, perché non rispettosi della Sharia!

Fatto sta che, grazie a quella recita filodrammatica di amici – che andai a vedere e non troppo mi piaceva – tenuta in quel teatrino parrocchiale, arroccato in cima a Ferrazzano, dal cui terrazzo d’ingresso, però, si godeva una bellissima vista stellata sulla valle a Sud, verso Mirabello, Cercemaggiore e, ancor più in là, fino alla Puglia e alla Campania… Lì, quel giorno, è nato il mio pensiero: più lungo e tenace!
Un pensiero che – senza diventare ossessione! – da allora, non mi ha più abbandonato… Perché capace di spostare sempre un po’ più avanti il suo limite.
O perché, forse, alla fine, un limite non ha!

Un pensiero lungo, che ha prodotto, in principio, una prima ristrutturazione, interna, durata tre anni, di quell’anonima e trascurata ex Casa canonica, trasformata nel frattempo, nel Teatro del Loto, inaugurato, a fine 2007, con una formidabile 24ore di Teatro.
Un unicum, il LOTO, presto riconosciuto come nuovo gioiello scenico del Molise. E non solo!

Ideato e realizzato come fusione di architetture sceniche d’Oriente e Occidente, si è qualificato, nell’ultimo decennio, come uno dei centri d’innovazione teatrale più vitali e apprezzati del Centro Sud.
Un piccolo grande Teatro, che Moni Ovadia, per primo, ripreso poi dal TCI Touring Club Italia, ha definito: “il Più bel Piccolo Teatro d’Italia”.

Grazie a quella prima ristrutturazione degli interni, il LOTO è stato trasformato in un nuovo e affascinante spazio scenico, capace – nell’ultimo decennio – di programmare oltre 500 eventi e ospitare più di 2.000, fra artisti, uomini di cultura e operatori: tutti, suggestionati dalla bellezza e unicità di quel piccolo teatro molisano e sempre entusiasti dell’accoglienza a Ferrazzano trovata.

Che poi, tanto piccolo, il LOTO non è!
I suoi circa 1.000 metri quadri, ripartiti su tre piani, cui si aggiungono quasi altri 600 metri quadri di portici e terrazze, formano oggi un complesso architettonico con 2 sale teatrali – dotate di foyer, bellissimi e funzionali camerini e persino un hammam – oltre a un Bistrot, da 70 coperti, con ampia cucina e diversi altri servizi, inclusa Biblioteca e Area espositiva.

La Sala grande, intitolata a Orazio Costa, il mio maestro, ospita poltrone ergonomiche, di tradizione coloniale cinese – con una capienza variabile da 150 a 190 posti – e palchetti a baldacchino in olmo massello, del tutto simili a stanze del Tè, con sedute su tatami.
Grazie a un palcoscenico grande e modulare, rispetto a teatri di simile capienza (ottimamente attrezzato, con un graticcio alla tedesca e americane mobili, telescopiche) consente anche allestimenti grandi e complessi.

La Sala piccola, invece, ribattezzata TFS Tribeca Ferentinum Studio, in onore alle origini ferrazzanesi di Robert De Niro, può ospitare altri 70 posti.
Un moderno Teatro-Studio, agile e modulare, adatto ad allestimenti più sperimentali, spesso trasformato in Jazz Club, da sempre sede dei corsi della SPAS, la Scuola Propedeutica d’Arte Scenica del Loto.

Due anni fa, poi, quel pensiero, già lungo, non si è stancato di spostare ancora un po’ più avanti la sua prospettiva… allungandosi ancora un po’.
Ci siamo detti, in quei giorni, che a quel punto, o si cresceva davvero o si mollava tutto!
Dopo i tanti investimenti già fatti, per la prima ristrutturazione, dopo oltre un decennio di lavoro appassionato sul territorio, con una produzione artistica e una fama sempre più rinomata, anche livello nazionale (che ha portato la Compagnia del Loto al riconoscimento ministeriale e al finanziamento del FUS), nessuno di noi – a partire, da me – aveva in realtà voglia di mollare.

Abbiamo così gettato il cuore oltre l’ostacolo e definito, con la nostra cooperativa TeatriMolisani, che ne era solo affittuaria, l’acquisto dell’intero immobile, con l’ex proprietà ecclesiastica.
Appena prima che fossimo tutti investiti dall’Emergenza Covid abbiamo perciò intrapreso nuovi lavori, per ristrutturare facciate, terrazze e tutte le superfici esterne, di quell’ex Casa canonica convertita… in Teatro.
Dopo un cappotto termico e nuovi infissi, che hanno consentito la riqualificazione energetica dell’intero immobile, si è tenuto conto di realizzare un progetto che definisse una nuova estetica e una migliore contestualizzare architettonica e paesaggistica di una struttura, di metà Novecento, con l’architettura bella e tradizionale, in pietra scalpellinata, di Ferrazzano e del suo centro storico.

Grazie al nuovo progetto e a qualche idea “sfiziosa” che l’ha suffragato, il Teatro del LOTO si erge oggi a Piazza Spensieri, più fiero e bello che mai. Con dignità, incastonato e, finalmente, integrato, fra il settecentesco Palazzo, che ospita il Municipio, e Castello Carafa, che ha origini nel Quattrocento, con evoluzioni nei secoli successivi.
Direi soprattutto che, ora, Ferrazzano, può vantare un Fiore di Teatro, sicuramente vitale, il LOTO (fiore che cresce alto e nobile, con petali uguali e di fattura perfetta, pur se germinato in acque immobili, stagnanti, melmose e, per questo, nella tradizione orientale, simboleggia trasformazione, rigenerazione, progresso ed energia vitale) che dona nuovo decoro e splendore alla Piazza e all’intero Borgo.

C’è, per altro, qualcosa, di più emblematicamente civile, che entrare in una piazza, di un bel paese interno dell’Italia centromeridionale e trovarvi in bella mostra e in sequenza: un antico Castello con un magnifico Belvedere, il Municipio, ospite di un bel Palazzo d’epoca, e un Teatro, di bella e fiera presenza?
La Chiesa patronale – anche se di pregio, come quella di Ferrazzano – in questo, non frequente, contesto paesano – più laico e civile – per una volta, credo, possa anche rimanere appena defilata e alle spalle (come a Ferrazzano è) di questi tre elementi, così qualificanti del vivere comune, creativo e sociale.
O no?

Il Covid, nonostante tutto, non ha perciò interrotto la vitalità e la progettualità di questo pensiero lungo.
Anzi, ha sfidato e messo alla prova il suo saper guardare oltre.
Nonostante la chiusura dei luoghi di Cultura, con quel che ne è seguito (tutto oggi, forse, poteva invogliare, tranne che investire, tempo e denaro, nella ristrutturazione di un Teatro – ma tant’è! Siamo fieri di averlo fatto!) noi abbiamo voluto sfidarci una volta di più, e portare a termine la ristrutturazione del Loto, non interrompendo i lavori. Solo parzialmente rallentati dall’emergenza sanitaria.
Fiduciosi che, come ogni altro Teatro – si spera! – anche il nostro, superato questo terribile periodo, possa ancora risplendere e rivelarsi più prezioso, vitale e produttivo che mai.
Per continuare a essere – in sicurezza – luogo di: socialità, creatività, felicità.
Un luogo prezioso per la collettività, capace di alimentare ancor di più quel pensiero lungo che l’ha generato.
Un pensiero che consentirà, al Libero Opificio Teatrale Occidentale, di continuare a produrre, sempre meglio, lavoro artistico e creativo – anche e soprattutto per le nuove generazioni di artisti e tecnici molisani – e, magari, d’essere a breve considerato (perché no?) – come: “Il Più bel Piccolo Teatro del Mondo”.

Non è azzardo o presunzione immaginare ciò. Credo ci sia consapevolezza, in questo auspicio.
Avendolo piuttosto girato (quando si poteva!) e studiato, il mondo, conoscendo bene le realtà teatrali, anche internazionali, oggettivamente, non credo che oggi esistano tanti “piccoli teatri” più curati, completi, fascinosi e dalla spiccata indole internazionale, del LOTO.
Poi, se sarà o no, davvero considerato “il più bello al Mondo”:… Ciccia!
È importante fino a un certo punto!

Quello di cui, in realtà, sono certo, è che abbiamo, piuttosto, avuto la capacità e consapevolezza di saper realizzare, con tenacia, un progetto d’arte e di vita. E che si può – si deve! – seguire una propria idea per rendere, tale progetto, reale e concreto.
Sì può realizzare! O, almeno, bisogna provarci, a fare qualcosa di unico, speciale e bello, pur partendo da un borgo interno e periferico del Molise: rappresentativo, nel nostro caso, di tanti altri bei paesi dell’Italia centromeridionale.

Un’Italia che va valorizzata, riuscendo a coniugare tradizione e innovazione. Sentendosi appartenenti a uno specifico territorio ma, pure, al contempo: cittadini del mondo!
Soprattutto, si può “rischiare” di farlo, senza sprechi.
Con pochi fondi ed esclusivamente privati (che ci siamo, per altro, da soli procurati, impegnandoci a garantirli, personalmente – ahi noi! – per diversi anni). Perché si crede in un’etica e in un’estetica.
Che possono e devono coincidere!
Abbiamo cercato, piuttosto, di utilizzare, al meglio, norme e Leggi che potessero facilitare tale compito.
Nel nostro caso: Bonus facciate ed Eco Bonus, come pure Art Bonus e 5×1000.
(Strumenti, questi ultimi, con cui, chi vuole, può per altro continuare a dare civilmente una mano a TeatriMolisani e al Teatro del Loto).

Con creatività e spirito d’impresa – e con la gioia di farlo – si può dimostrare di avere Cultura del bello e del territorio, senza troppo lagnarsi delle mancanze della propria realtà. Tanto, a cecarlo, c’è sempre un motivo, o più motivi, per i quali giustificare una: Inazione!
Invece, è nell’azione, della propria capacità d’azione che bisogna imparare a fidarsi. Se nasce da principi sani. Anche se questa, come facile per altro che possa accadere, trova nel suo percorso impedimenti di varia natura. Lo sforzo, creativo, è nella capacità di saperli superare: gli impedimenti.

Le realtà, anche quelle meno facili e apparentemente statiche, come può esserlo di una Regione come il Molise (Terra per altro, per tante altri versi, assolutamente affascinante e che sono certo potrà trovare presto una sua dimensione di sviluppo identitario, culturale ed ecologico, nella modernità, assolutamente sorprendente: altrimenti non ci saremmo intestarditi così tanto ad investirci!) possono cambiare! Se si decide di impegnarsi e lavorare sodo perché ciò accada: a partire da qualcosa in cui si crede.
L’immobile che oggi accoglie il Teatro del Loto, da struttura anonima che era, è diventato qualcosa di altro e nuovo.
Mi auguro, per questo, possa diventare un esempio. Un modello di sviluppo!

Con un progetto – che siamo stati felici realizzare – abbiamo provato a trasformare un contenitore d’Arte in Opera d’Arte, in sé.
Forse sarà un’opera che a qualche paesano, più tradizionale, piacerà meno.
Ma pure questo fa parte del gioco!
“Il dribbling – diceva Gianni Brera – lo sbaglia chi lo tenta”.
E Brecht raccomandava che il Teatro, per essere vitale, dovesse dividere e far discutere. E non creare un pensiero statico e uniforme.

Quel che mi sento di affermare, ora che la ristrutturazione del Loto volge al termine e che tutto questo sforzo dovrà necessariamente trasformarsi in motore di Sviluppo (altrimenti, sarà stato vano realizzare tutto ciò, per quanto oggi bello possa risultare), è che la nostra è stata un’opera pensata, in modo locale, per essere rappresentativa delle culture del mondo. E, quindi, farsi… globale.
Perché il Loto, dal suo piccolo, guarda al mondo e dal mondo vuol lasciarsi guardare.
Un piccolo Teatro, di un piccolo Paese, voluto e realizzato da un soggetto di diritto privato, pensato, però, nella sua etica ed estetica complessiva, per essere un Bene comune: a servizio di un intero territorio.
Perché il Teatro è, in se, Bene comune!
E serve alla crescita del Bene comune!

Credo che i lavori e le opere che con passione, puntiglio e cura, abbiamo realizzato – e che ora qui presento in anteprima – siano la migliore testimonianza di quanto sia stato, alla fine, performante, questo mio pensiero lungo. Tenacemente inseguito, forgiato e alimentato in tutti questi anni.
In questo 2020, che ci porterà un Natale diverso, da come lo abbiamo sempre vissuto, dopo un anno e mezzo di lavori, con emozione, rimuoveremo anche le ultime impalcature che in questo periodo hanno cinto il LOTO.
Ma le opere sulle facciate non si fermeranno.
Purché c’è sempre qualcosa di migliorabile da poter realizzare.
Almeno, fino alla nuova inaugurazione ufficiale della struttura che avverrà quando si potrà tornare, in sicurezza, finalmente a frequentare i Teatri, i Cinema, i Musei e tutti i luoghi di Cultura.

Quel giorno, al LOTO, terremo una grande e bellissima festa, con la gioia di ritrovarci con nuovi e vecchi amici. Tutti, con la voglia di metterci alle spalle, insieme, quest’anno buio e sciagurato e, per tanti, infausto e sconsolante!
Sì, sarà una gran festa! Che ci auguriamo possibile con l’arrivo della primavera 2021. Se, poi, ci sarà da aspettare ancora un po’, sapremo farlo.
Decisivo è che, una volta vinta col vaccino questa maledetta pandemia, nei paesi e nelle città del mondo, si possa tornare a creare comunità e civiltà, a partire, dai teatri e dai luoghi di cultura.
Così come, per millenni, è sempre stato!

Fino a allora, fino a quando non si potrà tornare a viverlo anche dentro, il Teatro, il LOTO farà comunque bella mostra di se, lassù a Ferrazzano: lo Spione del Molise.
Chiunque vorrà, potrà già ammirarlo in questa sua nuova dimensione architettonica, potendo già oggi apprezzare, i murali realizzati da Allegg (Andrea Parente) e Davide Nuzzi, legati all’Associazione Malatesta di Campobasso.

Quello di Alleg, in particolare, sulla facciata a Sud e che guarda maestoso la valle di Mirabello, verso la Daunia e il Sannio beneventano, è straordinariamente evocativo del senso stesso del Teatro.
Un’opera, con gran talento, da Andrea, ideata e dipinta – su una superficie di quasi 200 metri quadri – visibile a chilometri di distanza e che da profondità visiva e mentale.
Ispirata alla grafica del movimento artistico dell’Ukiyo-e giapponese (il cosiddetto Mondo Fluttuante) è intitolata con un verso di Shakespeare: “We Such Stuff as Dream we are”.
Perché, sì, è vero: “fatti siamo della materia di cui son fatti i sogni”.
E i sogni, uniti a lunghi pensieri, uniscono culture e sensibilità, rendendole prossime e popolari. Tenendoci uniti. Tutti.

In attesa che anche Jorit Agoch, fra i più grandi Street Artist europei, nella prossima primavera venga a dipingere l’opera che gli abbiamo chiesto, in omaggio a Robert De Niro e alle sue origini ferrazzanesi – e che con grande entusiasmo si è reso disponibile a realizzare – nulla più del magnifico murale di Alleg poteva nel frattempo unirci a culture teatrali lontane, ma che vogliamo, e sentiamo, vicine.
Un’opera di street artist, dal titolo emblematico della cultura occidentale, dove un attore orientale, alzando il suo kimono nero, trapuntato di stelle – a rappresentare la Notte e la dimensione del sogno – da quel manto celeste coglie, con la sua mano la Luna… Come Astolfo nell’ “Orlando Furioso”.

Tutte le storie, d’ogni latitudine, alla fine, ne compongono una, sola e magnifica: rappresentativa del nostro vivere e del nostro immaginario.
Un’opera che rende la finzione scenica, creazione d’arte che parla alla vita.
Che è quel che vuole essere il LOTO. E che è quello che fa il teatro.
Creare, dal nulla, è col nulla di creare meraviglia.
Qualcosa di unico e prezioso. Che rende bello il nostro vivere.

Non so quanti teatri, specie di piccoli paesi come Ferrazzano, possono oggi vantare sulle proprie facciate opere così.
Non è e sarà, per altro, quella di Alleg, come si è capito, l’unica… meraviglia!
Perché il LOTO vuole vivere e alimentarsi di meraviglie.

Salendo le scale s’incontra infatti, un’opera grafica, di Davide Nuzzi che gioca, tono su tono, fra luce e ombra, col nostro acronimo ripetuto.
Raggiunta, infine, piazza Spensieri e l’ingresso principale del Teatro, tutti possono già vedere (e mi auguro ammirare) il portico d’ingresso del LOTO, completamente trasformato da un grande mosaico.
L’ho realizzato io stesso, in tutti questi mesi, e cercherò di portarlo a compimento nei prossimi.
Magari, riuscirò prima, con l’ausilio di qualche amico. Com’è già stato per quelli che, di tanto in tanto, in questo periodo, mi sono venuti a trovare in cantiere… per mosaicare qualche parete insieme.
Anche solo per opporre piccole tessere di mosaico, hanno voluto lasciare una loro traccia creativa al Loto, diversi amici, da Chiara Pazzini a Marton Csokas (attore hollywoodiano), per non dire di mia figlia Eva. Persone care che mi hanno voluto testimoniare affetto e felicità.
Io sono contento, per altro, che quest’opera, ispirata all’arte di Gaudi e dalla tradizione arabo mediterranea, realizzata solo con materiale di risulta, sia già così rappresentativa del LOTO.

Non ho ancora realmente posto un termine alla sua definizione e so già che non riterrei ultimato il mosaico finché, sulla parete del porticato, ci sarà spazio anche per una sola piccola tessera (ognuno, in fondo, si sceglie la Penelope che vuole essere!). È auspicabile, in ogni caso, che un’opera così, possa diventare anche una esperienza collettiva, per un sentire comune.
Ci vuole tempo e passione per realizzare mosaici così grandi. A volte mi ha sfinito farli ma è bello che, in questo work in progress, tante persone si siano fermate a guardare questo lavoro.
Ogni giorno, in questi mesi, passando per Piazza Spensieri, c’è stato sempre qualcuno, che si è intrattenuto con me, per una visita al mosaico e per uno scambio di battute, compiaciuto di verificare l’evoluzione delle opere. A prescindere, se in un futuro saranno o no persone che entreranno a Teatro come spettatori di qualche spettacolo (cosa che, naturalmente, mi auguro possa verificarsi).
Sono felice, in ogni caso, anche per Ferrazzano e il Molise, di aver dato corso a qualcosa visibile da tutti e che già rappresenta un nuovo biglietto da visita – in vero, molto personalizzato – per il LOTO.

Un Teatro che, dalla sua altezza – a circa 900 metri s.l.m. – e dalle sue meravigliose e grandi terrazze domina la vista sul Mondo. E dal Mondo attinge.
Perché le terrazze del LOTO, oggi completamente restaurate, permettono una vista a 360°, che si estende su valli e monti, dal Matese, alle Mainarde all’Appennino centrale, e sui territori di ben quattro regioni (Abruzzo, Lazio, Campania e Puglia). Oltre, naturalmente… al Contado di Molise.
“Da qui messere si domina la valle. Quel che si vede è!” – canterebbe anche e soprattutto da quassù l’indimenticato Francesco Di Giacomo col Banco del Mutuo Soccorso.
E fare concerti estivi, sulla grande terrazza, al tramonto, davanti a panorami mozzafiato, sarà certamente una delle future prerogative del Teatro del LOTO.

Sinceramente, non so quanti Teatri al Mondo possano vantare panorami così?
Forse bisognerebbe arrivare al Four Corners, nel Grand Canyon, per un affaccio equivalente. A dirla tutta, dal Four Corners non si vedono solo 4 regioni perché la vista si perde su ben 4 Stati del Sud degli USA. Però, può rendere l’idea confrontare le nostre terrazze al Four Corners in Utah!
Appena sarà possibile ritrovarsi le apriremo al pubblico, per realizzarvi bellissimi eventi estivi e dalle terrazze del LOTO, con la lente del Teatro, chi vorrà potrà guardare con emozione il Mondo e abbandonarsi a inseguire il proprio Pensiero lungo.

Per rendersi magari conto – com’è per quel che mi riguarda – che, oltre che lungo, è stato, è, e sarà anche un pensiero… stupendo!

Un pensiero su “Teatro del Loto, una riflessione ed un pensiero stupendo per SIEDAS

  1. Gian Mario Fazzini dice:

    grande emozione, amico caro, leggere questo pensiero lungo… vent’anni!! condiviso in tante stupende occasioni, e che ancora ha da portarci in alto e insieme tra le pagine del nostro tempo a venire. Gracie per il tuo, il vostro impegno e per il sogno che possiamo cullare insieme.

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