“Requiem sull’ottava nota”, il nuovo e attesissimo romanzo di Giovanni Taranto

Roma. È uscito in tutte le librerie il 18 giugno, edito da Avagliano Editore, “Requiem sull’ottava nota”, secondo romanzo di Giovanni Taranto, giornalista specializzato in cronaca nera, giudiziaria, investigativa, autore di importanti inchieste sulla camorra nel napoletano e dal 2019 al 2021 Presidente dell’Osservatorio permanente per la legalità del Comune di Torre Annunziata.

Se il primo giallo – “La fiamma spezzata” – era dedicato ad un’indagine su un crimine privato, nata dalla caparbietà di una madre che non voleva arrendersi alla perdita del figlio, questa volta Taranto traccia un affresco complessivo ed inquietante del crimine organizzato del vesuviano, partendo dalla sua mutazione genetica dal contrabbando di sigarette al traffico di stupefacenti, per arrivare a raccontare i suoi rapporti e ramificazioni internazionali, i suoi codici di comportamento, di come, infrangendo regole antiche, esso abbia iniziato a divorare i suoi stessi figli, sempre più presto, senza alcun rispetto per l’innocenza,  ponendo le basi di quei fenomeni odierni in cui i “gruppi di fuoco” più crudeli e spietati sono proprio quelli composti da minorenni.

Non è un caso, dunque, che la Prefazione sia di Franco Roberti, Procuratore Nazionale Antimafia dal 2013 al 2017.

Siamo negli anni ‘90. Camorra, mafia, estorsioni, droga e microcriminalità sono gli avversari quotidiani del capitano Giulio Mariani, comandante della compagnia dei Carabinieri di San Gioacchino, nel Vesuviano: grande investigatore e protagonista indiscusso di quella che ormai si palesa come una vera e propria serie di romanzi.

Il giallo si apre con la descrizione della scena di un crimine: puntuale, come lo sono sempre le descrizioni dell’Autore, ma mai incline ad indulgere su particolari trucidi o scioccanti, discostandosi così da un moda, cui pure tanta letteratura neronoir degli ultimi anni ci ha abituato; da subito il lettore comprende che non sono i dettagli splatter quelli su cui Taranto vuole che si soffermi la sua attenzione, ma è lo sgomento che pervade il protagonista, il suo senso di sconfitta ed impotenza ciò che l’Autore vuole comunicare.

Per comprendere le ragioni del senso di fallimento del Capitano Mariani, Taranto ci condurrà, attraverso un lungo flashback che va dal 17 marzo fino alla data  fatidica del 12 aprile, in una girandola di episodi, indagini correlate, ma anche no, digressioni dotte, scientifiche o immaginifiche, talvolta umoristiche o leggermente inquietanti: come quelle dedicate alla numerologia, alla  cabala ed ai suoi legami con la smorfia napoletana, al complesso rapporto tra il divino e l’umano delle genti che vivono all’ombra del Vesuvio e ai loro insospettabili “tramiti”, ai nativi americani ed ai loro imperscrutabili idiomi.

Su tutto le tradizioni pasquali: quelle culinarie – certamente note anche a chi non condivide le origini dell’autore – e quelle religiose, non disgiunte da riti più laici e prosaici. Chi scrive non può esimersi dal segnalare l’umorismo incontenibile della tradizione “narrata” nel capitolo “Sciami di locuste”, ma non diciamo null’altro per non togliere a chi non ha ancora letto il piacere di immergersi in una delle descrizioni più esilararti, ma “tragicamente” veritiere,  delle gite di pasquetta di quegli anni.

Così tante e così ricche sono le descrizioni/digressioni contenute nei diversi capitoli che talvolta il lettore quasi si perde e si interroga: ma dove porta tutto ciò? Poi circa a metà del romanzo il corso delle indagini si chiarifica e prende una strada sicura, il complesso puzzle messo a disposizione dall’autore lentamente si compone, in un crescendo di azione e di elementi che vanno ad incastrarsi gli uni negli altri.

Molto ancora si potrebbe dire sulla trama e sul titolo del romanzo, “polisenso” e leggibile in molti modi diversi, anche se solo una è l’interpretazione veramente corretta, che si disvelerà nelle pagine finali; chi scrive, però, vuole lasciare a chi si accinge alla lettura una sua personalissima riflessione:  chi è il vero protagonista di “Requiem sull’ottava nota”? Il crimine organizzato, la caserma di San Gioacchino e il suo Capitano con i suoi uomini, leali e concreti nel distinguere il bene dal male, le tradizioni pasquali o forse il popolo stesso che vive “sotto il Vulcano”?

La risposta è che il protagonista silenzioso ma indiscusso di “Requiem sull’ottava nota” sono i ragazzi, le loro vite, le loro speranze, a loro e solo a loro sono affidati il futuro ed il riscatto di quelle terre; la domanda sospesa con cui termina il romanzo è un monito per noi tutti: lo spazio per il riscatto, se non è tenacemente inseguito e pervicacemente perseguito da chi – da adulto – ne ha gli strumenti, diventa per i giovani solo una prateria per la devianza ed il crimine.

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