Caserta. Il 13 luglio Caserta ha accolto calorosamente Lucio Corsi, la scoperta di Sanremo 2025, che con la sua canzone “Volevo essere un duro” è entrato nei cuori di tutti. Al Belvedere di San Leucio, tra le architetture borboniche e un cielo limpido d’estate, l’artista toscano ha portato in scena uno spettacolo intenso, fatto di emozioni, testi raffinati e un’anima glam rock.
Con la sua estetica inconfondibile e uno stile che mescola folk, poesia e cantautorato, Lucio ha ripercorso le tappe principali del suo percorso musicale, alternando brani del nuovo album a pezzi ormai iconici del suo repertorio. La scaletta, ben 24 brani, è stata un mix perfetto di energia, malinconia, teatralità e coinvolgimento, arricchita dalle spiegazioni poetiche e affascinanti di qualche pezzo che l’artista ha condiviso.
Lucio Corsi è salito sul palco con circa mezz’ora di ritardo, forse l’unica nota negativa della serata. Ma, come si dice, “l’attesa aumenta il desiderio”, e così è stato. I fan lo hanno aspettato con trepidazione e poi accolto con un grande boato. Tra il pubblico spiccavano volti truccati di bianco, look ispirati e magliette con Topo Gigio: un piccolo esercito di sognatori “corsiani”.
Il cantante ha aperto il live con “Freccia bianca” e “La bocca della verità”, per poi scaldare l’atmosfera con “Radio Mayday” e “Questa vita”. Qualche telefono registrava il momento, c’erano braccia al cielo e sorrisi complici tra chi, pezzo dopo pezzo, sentiva di far parte di qualcosa di speciale.
È poi arrivato il momento di “Amico vola via” e “Trieste”, due canzoni tenere, che scaldano i cuori e fanno riflettere. A seguire, “Sigarette” e, subito dopo, uno dei momenti più sorprendenti: “La gente bassa”, versione italiana di Short People di Randy Newman. Una traduzione ironica, provocatoria ma anche stralunata, firmata dallo stesso Lucio e che è stata accolta con applausi e risate.
Il cantante ha poi fatto riapprodare tutti nel suo mondo, proseguendo il suo spettacolo cantando “Il re del rave”, “Orme”, intensa e travolgente, “La ragazza trasparente”, “Senza titolo” e “Lepre”, con cui ha guidato il pubblico nel suo universo parallelo, surreale, popolato da animali simbolici e paesaggi fantastici, con un’atmosfera fiabesca e accogliente.
Tutti questi brani hanno fatto pregustare il momento più atteso: “Volevo essere un duro”. Il Belvedere è esploso in un grido di gioia e un coro unanime ha accompagnato ogni parola, trasformando la canzone in un inno condiviso, come se ogni parola fosse un frammento di un sogno comune, di un’identità generazionale nuova, tenera e ribelle.
Lucio ha poi proseguito con “Situazione complicata”, accolta da cori e risate, seguita da “Francis Delacroix”, durante la quale ha creato una vera performance: armonica alla bocca, occhi negli occhi con il pubblico, il cantante si muoveva sul palco avvicinandosi ai suoi fan. Quindi “Magia nera”, teatrale e magnetica, e “Let there be rock”, che ha acceso ancora una volta l’energia della notte.
Lentamente la discesa in un’atmosfera più intima e rarefatta, con “Il lupo”, “Nel cuore della notte”, “Cosa faremo da grandi?” e, dopo essersi acceso una sigaretta, “Tu sei il mattino”. Il pubblico ascoltava incantato, unendo la voce con quella del cantante, lasciandosi trasportare dalle immagini e dalle atmosfere sospese che le canzoni di Lucio sono in grado di creare, prendendoci per mano e trasportandoci in un mondo incantato.
La chiusura ufficiale è arrivata con “Astronave giradisco”, un brano che ha accompagnato tutti nel viaggio che Corsi canta, quello fino al mondo senza difetti, che però non esiste laddove c’è l’uomo.
Quando tutti pensavano fosse finita, Lucio è rimasto sul palco per un ultimo abbraccio, un bis che è stato gridato, atteso e sperato. “Francis Delacroix”, ancora una volta, per chiudere il cerchio. Un arrivederci più che un addio, con il pubblico ancora in piedi, ancora presente, ancora affamato della musica di Lucio Corsi.
Un concerto che non è stato solo musica ma esperienza. Un racconto fatto di luci, parole, immagini fantastiche che Lucio riesce a creare e in cui ci trasporta con naturalezza. Un intreccio di note, di pianoforte, chitarra e armonica, arricchito da una band impeccabile che ha reso tutto più magico.
Una serata che ha lasciato il pubblico con la sensazione di aver preso parte, almeno per una notte, a qualcosa di diverso. A qualcosa di onirico. A qualcosa di profondamente incantato.


