La musica, uno splendido linguaggio. A colloquio con Larsen Premoli

Milano. La vita di un avvocato è costellata di una serie di aneddoti. Tra questi mi piace raccontarvi di una sera di circa dieci anni fa in cui una collega mi ha chiesto una mano per aiutare un ragazzo che aveva un problema di diritto d’autore.
Ovviamente bisognava lavorare di notte per cercare di sistemare un contratto che lo vedeva inevitabilmente come parte debole. Come tante volte accade, quella nottata passata a sistemare e a negoziare clausole ha evidentemente lasciato il segno sia in me che in lui. Il giorno dopo mi sono vista recapitare uno splendido mazzo di fiori e ovviamente l’ho contattato per ringraziarlo. Da allora sono passati un po’ di anni e tuttavia il suo numero è rimasto nella mia rubrica e ogni tanto ho ricevuto via WhatsApp inviti per concerti o per altri eventi ai quali, per una ragione o per l’altra, non sono riuscita a partecipare.

Solo qualche giorno fa un po’ per caso ho avuto l’occasione di reincontrare l’allora ragazzino e ho capito quanta strada ha fatto non solo per quanto riguarda la sua carriera musicale, ma anche dal punto di vista didattico e quanto la sua esperienza possa oggi essere significativa per un giovane musicista un po’ “strattonato” in questa metropoli nella quale la creatività emerge a fatica ma quando emerge lo fa con decisione.

Larsen Premoli inizia a suonare a 6 anni e a 14 anni si è già guadagnato i diplomi di teoria e solfeggio. In tutto ciò riesce a concludere il liceo scientifico e a diventare responsabile audio musicale di una compagnia locale di musical teatrali; all’età di 19 anni, dopo aver già militato in circa una dozzina di band spaziando tra diversi generi musicali come chitarrista e tastierista, approda nei Fire Trails, con cui calca i palchi dei più importanti festival nazionali condividendo le scene con band del calibro dei Deep Purple, Iron Maiden e molti altri. In parallelo consolida l’esperienza con la sua progressive rock band Looking for a Name con cui ha pubblicato due album e nello stesso periodo sono diverse le sue partecipazioni al progetto musicale benefico di Mario Riso “Rezophonic” e le sue apparizioni su RockTV. Parallelamente inizia la sua attività didattica presso la SkullOfRock e successivamente presso altre strutture del sud-ovest milanese, insegnando pianoforte, tastiere, teoria e armonia. Fin da ragazzo la sua passione per le tecnologie informatiche e la possibilità e necessità di incidere e produrre la musica suonata con i suoi progetti del momento lo portano a circondarsi di mezzi e strumenti atti all’arte dell’audio-recording ed è, quale logica conseguenza di tutto ciò, che dal 2008 inizia ad occuparsi della creazione di un’attività professionale di live-recording e, agli albori del 2009, della costruzione e messa in funzione dei RecLab Studios, di cui oggi è titolare. Parallelamente continua la sua attività come produttore di alcuni giovani artisti e band e come musicista. In tutto ciò negli ultimi anni ha contribuito alla fondazione di nuove strutture scolastiche musicali, curando molti spettacoli e ha inoltre ideato un metodo di insegnamento dell’armonia basato sulla pragmatica e la semplicità del linguaggio musicale, che presenta durante seminari mirati.

Come tutti coloro che hanno una certa propensione alla didattica voglio capirne di più e Larsen ben volentieri mi spiega: “La musica è il “linguaggio universale”, e forse diamo un po’ per scontate le motivazioni per la quale si abusa spesso di questa definizione, ma più volte invito le persone a riflettere su quanto sia impegnativo imparare da zero una nuova lingua. I fonemi, il vocabolario, la sintassi e la grammatica, e tutte le forme verbali, le eccezioni, i modi di dire ecc. ecc .… La verità è che la musica è davvero un linguaggio in grado di esprimere infiniti concetti e significati, ma non esiste un linguaggio così completo e al contempo così semplice da apprendere, e utilizzare. Volenti o nolenti spesso si pensa alla musica come alle “canzoni”, ma quest’ultime sono in verità un mashup di due linguaggi, quello musicale appunto e quello legato alle liriche, nella lingua che contraddistingue il brano. E quando pensiamo all’approccio dello studio della musica, in realtà normalmente si comincia con lo scegliere di apprendere i meccanismi di utilizzo di uno strumento musicale (o di prendere lezioni di canto, bhe la voce è anch’essa uno strumento, forse il più affascinante per altro!). Mi piace dunque portare il piano della riflessione sul fatto che raramente si osserva la musica come un linguaggio e una disciplina basilare fine a sé stessa. Ho avuto la fortuna di iniziare da molto piccolo i miei studi, studi che non terminano mai, ma in ogni livello didattico, prima classico, poi jazzistico, e poi universitario, ho affrontato lo studio del linguaggio musicale in molteplici forme e sotto molteplici punti di vista, ma in nessun caso ho trovato un sistema chiaro, e soprattutto rispettoso della semplicità dell’argomento, che elevi e metta in luce la sorprendente idilliaca perfetta geometria propria di questa materia. Così ho sviluppato un metodo che ho avuto poi modo di applicare e sviluppare nel corso della mia attività didattica, soprattutto con i giovani e giovanissimi, potendone osservare gli incredibili risultati. In cinque/sei ore si può apprendere tutto quel che serve per conoscere tutta la fonetica, la grammatica e la sintassi di questo meraviglioso linguaggio (provate a pensare come potrebbe esser possibile farlo con un qualsiasi altro linguaggio?) dopodiché, chiaramente, serve applicazione ed esercizio per rendere spontanei e di fluido utilizzo le nozioni assimilate, ma questo basta per capire quanto è semplice. Ascoltare un brano alla radio e capirne istantaneamente l’armonia, la melodia, come si comportano gli strumenti all’interno, piuttosto che pensare ad una melodia e visualizzarne immediatamente le note, le funzioni degli accordi che staranno sotto di essa, e ancora prendere in mano un nuovo strumento e, lette le prime due paginette del manuale di istruzioni, essere già in grado di utilizzarlo con un fine pratico… sono tutte possibilità ed esperienze così a portata di mano che non mi capacito di come si possa esser complicato tutto al punto di renderlo d’elite, di farlo diventare un business da spalmare su più anni possibili di rette delle accademie musicali. Penso sempre a chi ascolta la musica senza capirne i meccanismi come ad un qualcuno che potrebbe dire di amare le poesie recitate in polacco, senza però sapere il polacco. Quanto sarebbe bello se ci fosse quel minimo di consapevolezza e cognizione del linguaggio della musica da parte di tutti i fruitori? Ed essendo così semplice quanto è ingiusto che così non sia? Magari per molti resta la propria “magia”, del resto uno spettacolo di Udinì sarebbe così affascinante se conoscessimo tutti i trucchi mentre ne assistiamo all’esecuzione? Posso solo rispondere per me, che le tecniche che stan dietro alla magia ormai le conosco piuttosto bene, ma che non smetto di essere un assiduo fruitore dei tanti maghi che producono vecchia e nuova magia, e posso garantire che non si smette mai di emozionarsi, spesso davanti all’incomprensione del non comprendere come certe soluzioni, così semplici, possano essere tanto efficaci ed emozionanti”.

Alla fine di questa piacevolissima conversazione, visto il periodo, una domanda è di rito: “Come hanno inciso la pandemia e i vari lockdown sulla tua attività? E su quella dei Rec Lab Studios? E sulla tua creatività?”. “Ormai è un anno che siamo “in ballo” con questa situazione, ripercorro velocemente questi mesi: la premessa da fare è il mio codice Ateco come “studio di registrazione sonora” non è mai stato interdetto dall’operare – al netto di vari adeguamenti di protocollo per la sanificazione dei locali, delle capsule dei microfoni ecc. ecc. – i primi mesi, quelli del lockdown totale, sono stati bizzarri, perché se da un lato ho lavoricchiato un po’ a distanza con gli artisti che si registravano a casa e mi mandavano le tracce da mixare ed elaborare, mi son trovato per la prima volta in dodici anni ad avere del tempo libero, e realizzare quanto il mio studio di registrazione sia “la cameretta da sogno” di ogni musicista… così mi son messo a giocare con tutti i miei strumenti, cosa che è paradossale, ma lavorando una media di 358 giorni l’anno, non è mai stata così scontata… Ho fatto le mie “cover casalinghe” da pubblicare sui social dove suono e canto tutte le parti dei miei brani preferiti dei Beatles, è stato divertente, molto. Dopodiché da maggio abbiamo riaperto le sale al pubblico e tuttora continuiamo ad operare: non siamo ai nostri standard di pieno regime, vediamo scarseggiare in particolari i progetti “band” che al netto di restrizioni più o meno altalenanti non hanno la prospettiva di presentare i propri lavori sui palchi, e che nel ramo più professionistico arrivano da un anno senza introiti, ma soprattutto sono ferme a causa del non potersi incontrare in presenza per scrivere, arrangiare e suonare… In generale c’è diffidenza sul domani, chi produce per lo più sta riducendo le proprie produzioni a piccoli passi, uno, due brani, mentre i già navigati stanno approfittando del momento di fermo per ciò che concerne pubblicazioni e live-show per portarsi avanti con la produzione di veri e propri album. Non è un bel momento, ma la giostra non è ferma, gira solo un po’ a rilento, e son fiducioso che tornerà ad avere i suoi ritmi man mano che ci avvicineremo all’uscita da questo periodo grigio”.
Infine torno a fare il giurista e chiedo a Larsen cosa, secondo lui, andrebbe più adeguatamente disciplinato da un punto di vista normativo dell’attività di produzione musicale: “penso che ci vorrebbero tre cose: una seria riforma dell’istruzione che prevede nei primi due anni di scuola elementare almeno 2/3 ore settimanali di laboratorio propedeutico ai suoni e al ritmo, negli anni successivi due ore di studio del linguaggio musicale e avvio agli strumenti con una riablitazione delle 2 ore settimanali nelle scuole medie. Serve poi una riforma totale dei metodi didattici, e delle strutture scolastiche, prevedendo degli strumenti statali a disposizione dei ragazzi in modo che senza oneri sulle famiglie possano, durante il ciclo scolastico, capire il linguaggio di cui dicevamo prima. Serve poi una riforma della figura – e delle figure – del campo musicale, con contratti nazionali, forme previdenziali, e graduatorie basate sull’attività artistica, sulla qualità e quantità di pubblicazioni e quindi produzioni, specie ora che quello che vuol esser considerato “il top” della nostra discografia nazionale nient’altro è che la più becera rappresentazione di un sistema basato sul business. In terzo luogo anche in questo settore ci vorrebbe più meritocrazia e un maggior rilievo della qualità”.
“Come pensi che si possa e si debba aiutare la musica nazionale?”. “La musica andrebbe aiutata ricordandosi che con l’arte, per portarle rispetto, non andrebbe fatto nè agonismo nè business. Bisogna aiutare i musicisti ma non perché ne hanno bisogno quasi fossero una categoria da proteggere, bensì perché è inevitabile riconoscere che la musica ha un rilievo significativo nella vita di ognuno di noi. E allora credo che dovrebbero essere incentivate le riforme in materia di diritto d’autore, dovrebbe davvero trovare applicazione la direttiva Barnier, con cui la Commissione europea ha inteso modernizzare la gestione collettiva del diritto d’autore per assicurare la competizione tra le società di collecting dei Paesi Ue e, in ultima analisi, dovrebbe essere finalmente emanata una disciplina dello spettacolo dal vivo”.
Grazie Larsen ti lascio alla tua splendida musica senza però dimenticarmi di te e, soprattutto, della tua passione per le nuove tecnologie, perché con la tua musica sarà più facile anche far crescere il focus su diritto e le nuove tecnologie che abbiamo appena inaugurato all’Insubria!

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