Incontro con Federico Mecozzi, la nuova generazione della musica sinfonica

Latronico. In una delle tappe del “Ludovico Einaudi Summer Tour”, prima dell’inizio del concerto, incontro Federico Mecozzi: classe ’92, violinista e polistrumentista che da anni collabora con Ludovico Einaudi.

Cerchiamo di andare in ordine cronologico fino ai tuoi più recenti lavori da solista: dunque, quando e com’è iniziata la collaborazione con Einaudi?

Nel 2008 Ludovico Einaudi era direttore artistico del festival di Verrucchio, città in cui sono cresciuto. Quell’anno gli fu conferita la cittadinanza onoraria e mi fu chiesto di celebrare l’iniziativa con un tributo al violino. Suonai una mia rielaborazione de “I Giorni”, un suo brano cui sono legato. Tempo dopo fu proprio lui a chiamarmi e da lì iniziammo a lavorare insieme. All’epoca ero ancora a scuola ma riuscii a coordinare studio e lavoro.

L’ultimo progetto di Einaudi che eseguite in questo tour, “Seven Days Walking” è emblematico del processo creativo. Qual è il tuo ruolo in seno a tale processo creativo?

Ludovico non arriva mai in sala con una partitura per i tutti i singoli strumenti. Si parte dalla sua musica al pianoforte ma lo sviluppo avviene insieme in modo corale. In sostanza, i brani sono i suoi e allo stesso tempo ognuno è libero di dare il proprio apporto. È sempre stato così con lui: crede molto in quest’idea.

Com’è la vita in questo tour molto intenso con tappe aggiunte di continuo?

È una vita molto stancante fisicamente. Anche nel 2020, nei mesi precedenti alla pandemia, abbiamo avuto una tournée molto intensa, infatti il lockdown ha offerto l’occasione per riposarmi e dedicarmi alla composizione.
Dopo il periodo che abbiamo vissuto, non poteva esserci ripresa migliore che tornare a suonare nel proprio paese con un lungo giro per la penisola. Viaggiamo in furgone, quindi viviamo pienamente il territorio con tutti i suoi molteplici paesaggi che cambiano. Poi suoniamo in tutte location straordinarie da un punto di vista naturalistico o anche architettonico: come ad esempio qui al Parco Nazionale del Pollino o alla Reggia di Caserta alcuni giorni fa. Comunque è un giro all’insegna della bellezza e speriamo di poterlo proseguire in Europa, lasciando l’emergenza sanitaria alle spalle.
Secondo me il viaggio rappresenta un’esperienza non solo musicale ma anche umana.

Passiamo alla tua musica e parliamo dei due singoli di quest’anno, “Breeze” e “Roundelay”, e dell’album “Awakening”, pubblicato nel 2019 e che contiene brani molto belli come “Birthday, Last June, Neptunus e lo stesso Awakening” che dà anche il titolo all’album. Ecco, come nasce l’album e qual è nello specifico l’ispirazione del brano?

Dopo anni di collaborazioni sentivo l’esigenza di risvegliare il senso artistico: l’album si basa sul concetto di risveglio, awakening appunto. È la sintesi delle interpretazioni, esecuzioni, viaggi ed esperienze fatte in questi anni. Il brano in particolare si sviluppa su quattro accordi ed è in crescendo proprio per evocare il risveglio.

Di “Awakening” che nasce al violino hai pubblicato anche una bella versione al piano sui social.

Sì, mi piace molto cambiare vestito ai miei brani, per non ripetermi. Ritorno sulle mie musiche anche dopo molto tempo per cambiarle e rielaborarle: anche questo è un insegnamento di Ludovico Einaudi.

C’è un brano a cui sei maggiormente affezionato?

Ormai mi sto concentrando su nuove composizioni: in questo momento direi che sono più legato al nuovo singolo “Breeze”, proprio perché la brezza richiama il concetto del viaggio di cui parlavamo prima. Inoltre, nel 2020 avevamo iniziato a presentare “Awakening” in tour, con tappe anche in Europa: con lo scoppio della pandemia il mio viaggio personale di presentazione del mio primo album è stato interrotto alla quinta tappa.
Comunque, al di là dei significati personali, trattandosi di brani solo strumentali a me piace che ciascuno recepisca ciò che sente: sono aperti a plurimi significati e per me è importante quest’apertura.

Hai collaborato tra gli altri con Pacifico, a Sanremo nel 2019 con Enrico Nigiotti e quest’anno con i Dellai: alla luce di questa poliedricità artistica, in quale genere ti collocheresti e a quali autori ti ispiri? Einaudi non vale naturalmente.

È sempre difficile collocare sé stessi. Mi piace mescolare più linguaggi. Vengo da una formazione classica: sono un amante del barocco e di Vivaldi in particolare. Così come allo stesso tempo mi piacciono la musica etnica e quella celtica che ho studiato, ma anche l’elettronica e il pop, nella sua ampia accezione. Poi quanto ai cantautori italiani, sono un grande appassionato di De André e Battiato.

“Breeze” e “Roundelay” sono accompagnati da due video molto belli: considerato che non ci sono testi o storie da rappresentare, come si creano delle sequenze coerenti con la musica?

Essendo brani solo strumentali è sempre molto difficile trovare la chiave comunicativa, però a volte gli ambienti musicali suggeriscono delle ambientazioni. Ad esempio, “Roundelay” è un pezzo molto fresco pubblicato proprio per l’estate ed il video è stato girato presso le Valli di Comacchio al tramonto per evocare la liberazione: in fin dei conti è un video semplice, non ha una storia precisa. Do le mie idee sui video ma poi sono brani strumentali che appunto si prestano all’astrazione; in ogni caso per me viene sempre prima la musica, che non cambierei mai in funzione della clip e del mercato.

Qual è l’obiettivo, la mission della tua musica?

Senza dubbio la funzione principale è emozionarsi ed emozionare, ecco perché il momento di condivisione col pubblico dal vivo è essenziale. Secondo me, anche quando c’è una ricerca profonda alla base, la musica deve arrivare in modo immediato, al corpo: ne faccio una questione quasi fisica. La poca immediatezza è un po’ il limite della musica classica per la quale servono più filtri, ovvero maggiore preparazione all’ascolto. A me piace che la musica arrivi all’intero pubblico, senza distinzioni.

Ecco, al riguardo vorrei conoscere la tua idea sul rapporto della nostra generazione, la generazione della “canzone” con la musica classica.

In effetti non c’è più abitudine all’ascolto della classica. Ad esempio, anche la musica trap presenta spunti interessanti, però magari chi offre musica potrebbe diversificare i contenuti evitando di seguire solo la moda del momento: la varietà dell’offerta potrebbe aiutare a recuperare il rapporto con la musica classica.

Quali sono i progetti futuri?

In verità il secondo album è pronto: sono usciti i primi due singoli “Breeze” e “Roundelay” e forse ne uscirà qualcun altro nei prossimi mesi. Non ho una scadenza per l’uscita dell’album, aspettiamo che l’emergenza sanitaria finisca per presentarlo in Italia ed in Europa. Per me il concerto è il momento più bello: quando si riesce a creare quel legame energetico col pubblico ne viene fuori un’emozione collettiva indescrivibile. Nel frattempo continuo il percorso creativo e ritorno su brani anche già completi.

Saluto Federico che si va a preparare. Il sole inizia a tramontare e l’aria quasi di montagna del Parco Nazionale del Pollino è fresca. Ci si siede sul prato, immersi nella natura. Le prime note cominciano a suonare dando vita, appunto, ad un’esperienza emozionale collettiva.

 

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