Il Teatro del LOTO ai tempi del Coronavirus: nuovi progetti e tanta energia per continuare a fare arte

Campobasso. Il Teatro del LOTO – Libero Opificio Teatrale Occidentale – fondato e diretto da Stefano Sabelli, per conto di TeatriMolisani cooperativa sociale, è da molti oggi indicato come il più bel piccolo Teatro d’Italia. Ospitato nel centro storico di Ferrazzano, caratteristico borgo a ridosso di Campobasso, si erge nella cornice in pietra bianca scalpellinata di Piazza Spensieri, incastonato fra Castello Carafa e Casa Spensieri, palazzo del ’700, sede del Municipio. Inaugurato il 24 novembre 2007 nell’ambito della “Settimana della Cultura d’impresa” di Confindustria, a cui hanno partecipato oltre 100 artisti, che si sono alternati sul suo palco per 24 ore, nasce dall’intuizione di recuperare e trasformare la vecchia Casa canonica, preesistente già dagli anni ’50. La prima ristrutturazione, durata circa 4 anni di lavori, finanziati in parte con fondi Comunitari, attraverso il POR Molise 2001/2007, è stata ispirata da principi di ergonomia e suggestioni Feng Shui, nel rispetto di tradizioni sceniche multiculturali, occidentali ed orientali.

Il nome LOTO, nella doppia assonanza di fiore simbolo delle filosofie orientali e acronimo di una nuova impresa culturale, occidentale, sì, ma con voglia di incontrare e contaminarsi con le tante culture del mondo, esprime al meglio la sua mission: divenire un centro di spettacolo dal vivo di valore europeo, dedito all’incontro di culture diverse e universali. Consapevole di operare da una posizione apparentemente più complessa e difficile, come quella di un borgo molisano, pur caratteristico, ma periferico, il LOTO ha sviluppato un’identità artistica e un’autonomia produttiva tale da qualificarlo come uno dei centri di cultura teatrale tra i più vivi e innovativi del Centro Sud interno.
La superficie totale del LOTO, articolata su tre livelli, è di circa 1000 mq coperti ristrutturati, cui si aggiungono altri 500 mq di terrazze che si aprono, con panorami mozzafiato, sui monti del Matese e dell’Appennino centrale, con una vista diffusa a 360° su ben quatto regioni centro meridionali: oltre al Molise, l’Abruzzo, la Puglia e la Campania, che col Molise confinano.

Grazie alla presenza del LOTO, nel 2012 il Comune di Ferrazzano è stato insignito del titolo di Bandiera arancione del Touring Club Italia, che lo qualifica fra i borghi interni d’eccellenza della penisola. La Compagnia stabile del LOTO è stata riconosciuta dal MIBAC (dal 2015) compagnia d’innovazione e per questo sostenuta dal FUS (Fondo Unico dello Spettacolo).

Nel 2018 Teatrimolisani ha deciso di capitalizzare l’esperienza pregressa ed ha acquisito l’intero immobile che ospita il Teatro del LOTO (con annesso il Bistrot). Dopo avere già promosso e realizzato la riqualificazione interna dell’ex Casa Canonica, ora grazie all’art bonus promuove la ricerca di fondi che consentiranno di riqualificare, con l’efficienza termica, il restauro architettonico esterno dell’intero immobile.

Incontriamo la Socia SIEDAS Stefania Tomaro, avvocato, consigliere di TEATRIMOLISANI, attualmente consulente senior presso E&Y con incarichi al Ministero degli Interni, e l’anima e il cuore di questo straordinario progetto culturale, il direttore artistico Stefano Sabelli, per farci raccontare l’impatto che il Coronavirus sta avendo su chi vive nel e per il teatro.

I teatri sono stati tra i primi a subire restrizioni. Qual è stata a reazione di partecipa alla vita del Teatro del LOTO?

La caratteristica principale del teatro del LOTO, che lo rende unico nel suo genere, è l’enorme vicinanza tra pubblico e attori; vuoi per la struttura stessa del Teatro, vuoi per la logica di gestione su cui è sempre stato impostato: garantire la massima vicinanza tra chi recita e chi ascolta. Il pubblico si mescola agli attori e viceversa. Tutte o quasi tutte le produzioni sono state impostate sempre su una logica del mescolare, integrare; integrare e mescolare generi (musica, parola, danza) luoghi (tanti gli spettacoli itineranti in luoghi anche non convenzionali, in teatro, ribaltando completamente la struttura della sala), linguaggi e così via. Vien da sé che il nostro pubblico, abituato più di altri a vivere da e con noi questa particolarità, si è trovato spaesato, ancor di più rispetto al pubblico tradizionale.

La situazione è destinata, come ormai è abbastanza chiaro, a prolungarsi nel tempo. Cosa avete pensato di realizzare per dare un senso di continuità alle attività artistiche del Teatro del LOTO?

Ci siamo già attivati per pubblicare periodicamente in misura integrale o parziale spettacoli di nostra produzione o spettacoli di artisti che sono passati al LOTO. Ma è evidente che sul lungo periodo occorrerà una “rivisitazione” del modulo creativo, da parte della nostra compagnia, e al contempo una “rivisitazione” del modello di partecipazione del pubblico. Dobbiamo iniziare dunque a porci domande a livello di sistema: come creare un’alternativa possibile? Possono convivere mondo digitale e linfa artistica? Come garantire la “sostenibilità” di un modello nuovo alternativo? Ad oggi la storia del passato e quella che stiamo scrivendo in queste ore ci riporta alcuni dati di fatto, insindacabili: il primo prende spunto dal teorema di Quarantelli, sociologo americano di cui tanto si è parlato nei giorni scorsi, specializzato nello studio delle reazioni ai disastri secondo cui peggiore è la situazione, migliori diventano le persone; gli eventi catastrofici tirano fuori dall’umanità il meglio. La solidarietà prevale sul conflitto. La società diventa più democratica. Svaniscono, almeno temporaneamente, le diseguaglianze e le distinzioni di classe. E questo sta accadendo. Il secondo elemento è frutto delle considerazioni che ormai in queste ore stanno prendendo sempre più forma: come contemperare, nel giusto modo, l’interesse primario alla tutela della salute pubblica, con l’interesse altresì primario al lavoro, alla tutela delle attività economiche che, soprattutto in particolari comparti (come quello teatrale), necessitano di sostegno, supporto economico e soprattutto di linfa vitale. Infine dobbiamo prendere tutti atto che questa è una crisi mondiale, senza precedenti e forme: ai tempi della guerra c’erano rifugi in cui si stava insieme, ammassati e si pregava per evitare le bombe. In questa situazione con le comodità di un tetto, non si soffre la fame, siamo di fronte ad uno schermo che, complice l’evoluzione digitale, ci illude di non farci rimanere soli. Ma attenzione, partendo dal presupposto, direi necessario, in base al quale è fondamentale capitalizzare questa profonda crisi, dobbiamo ora domandarci che forma può e deve assumere l’arte al servizio di un momento di solitudine e smarrimento senza precedenti. E soprattutto capire a quale modello dobbiamo aspirare quando tutto ciò finirà.

Quale è stata la prima reazione del vostro pubblico? Come hanno reagito i più affezionati spettatori delle vostre stagioni?

La prima reazione, quella registrata ancor prima dell’adozione del DPCM dei primi di marzo è stata di comprensione: si è capito che la necessità di chiudere le attività era collegata alla tutela della salute pubblica. Quando poi il Governo ha esteso le restrizioni a tutte le attività si è palesata, forse, la consapevolezza di un periodo ben più lungo rispetto a quello ipotizzato in un primo momento. La reazione è di una grande attesa per una nuova riapertura. Abbiamo tutti voglia di riabbracciarci e di guardarci negli occhi di fronte ad un palco vero.

Di questa situazione emergenziale, indubbiamente, rimarrà un ricordo molto forte alla ripresa della normalità: cosa pensate di portare, in positivo, nel futuro del Teatro del LOTO da questa esperienza?

Dobbiamo far tesoro di questi momenti: crediamo che l’unica via d’uscita sia la costruzione di un pensiero di comunità nuovo. Vorremmo fortemente che cambiassero i modelli di crescita e di socialità. Una considerazione poi d’obbligo: è un gran riflettere in questi giorni di quello che sarà e delle opportunità o, viceversa, dei baratri che si apriranno. Ma non dobbiamo mai dimenticarci che si riparte e si costruisce solo se si ripristinerà un valore fondamentale: la fiducia. E l’arte più che mai sarà chiamata a dare un contributo alla fiducia collettiva che definirà la nuova società.

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