“Clitennestra”, al Teatro Mercadante una riflessione sulle atroci conseguenze della vendetta

Napoli. La stagione del Teatro Mercadante di Napoli si è aperta il 18 ottobre con la prima della “Clitennestra”, tratta da “La casa dei nomi” di Colm Tóibin, autore irlandese che si è interrogato sul senso della vendetta e la spirale che genera, opera adattata e diretta dal regista Roberto Andò, che andrà in scena fino al 29 ottobre e poi in tournée in tutta Italia fino al 18 febbraio 2024.
Protagonista indiscussa è Clitennestra, in una toccante interpretazione di Isabella Ragonese, capace di rendere con la stessa maestria ogni variazione di tono, grazie alla sua personale sensibilità e la raggiunta maturità artistica in quelli che sono per la maggior parte monologhi, spesso sussurrati, bisbigliati, altre volte urlati e di tanto in tanto dialoghi con le altre due figure femminili, Ifigenia (Arianna Becheroni) ed Elettra (Anita Serafini), intorno alle quali gli uomini sono solo sbiadite figure di contorno.
Del mito classico è stata recuperata solo la storia, di cui viene evidenziato lo strenuo tentativo della madre di salvare la figlia Ifigenia, “ragazza innocente”, per evitare che “il mondo sia privato della sua grazia” così da scongiurare l’accordo di Agamennone con gli dei per ottenere la “ricompensa: gli dei avrebbero fatto soffiare il vento nei giorni cui al padre sarebbe servito per le vele e nei giorni in cui sarebbe servito ai nemici l’avrebbero placato. Gli dei avrebbero reso i suoi uomini vigili e coraggiosi e riempito i nemici di paura, gli dei avrebbero reso le sue spade veloci e taglienti”.
Perché quella di Clitennestra è una donna moderna, razionale – quando la razionalità, identificata con il diritto, in epoca classica era prerogativa del mondo maschile – lei, invece, è una donna che finalmente ha diritto di parola e che è chiamata a fare i conti con il potere, la sua gestione, e quindi con la morte, il sangue e la sua coscienza, i fantasmi che albergano fuori e dentro di sé, lei che “ha dimestichezza con l’odore della morte”, quello che ha sentito sul corpo della figlia Ifigenia quando il padre Agamennone l’ha sacrificata.
Clitennestra però ha abbandonato il senso del tragico, non crede più negli dei, i quali – dice – “sanno a mala pena che siamo vivi! Per loro, se mai ci sentissero, saremmo come rumore lieve di vento tra gli alberi, un fruscio stanco, discontinuo”, determinando così una rottura col passato: “Lo so che non è sempre stato così, c’è stato un tempo in cui gli dei venivano a svegliarci la mattina, venivano a pettinarci i capelli, ci riempivano la bocca di parole dolci e poi ascoltavano i nostri desideri, cercavano di esaudirli, conoscevano i nostri pensieri ed erano in grado di inviarci segnali, non tanto tempo fa, noi ancora ce lo ricordiamo, la notte si sentivano le urla delle donne prima che sopraggiungesse la morte, era un modo per richiamare a casa i moribondi, per lenire il vacillante viaggio verso il luogo di riposo”.
Tant’è che verso la fine della tragedia, quando viene imprigionata “nel buco in cui l’hanno seppellita”, da cui non sa se uscirà viva, urla “Se gli dei non vegliano su di noi – mi chiedo – chi dirà come comportarci? Chi altri può dirci come comportarci? Allora, capisco che non ce lo dirà nessuno, proprio nessuno. Nessuno mi dirà quale comportamento assumere o non assumere in futuro, perché in futuro sarò io a decidere come comportarmi, non gli dei”. Ed è in questo frangente che decide di uccidere Agamennone per vendicarsi di quello che ha fatto, lo decide senza consultare oracoli o sacerdoti, senza pregare nessuno; così come non si deve ad Apollo il disegno della vendetta di Oreste.
Interessanti le soluzioni sceniche di delimitare il palco lateralmente e posteriormente con quinte mobili, che così hanno consentito di creare nella parte superiore la sala da bagno dove Agamennone viene assassinato e nella parte sottostante le altre stanze della casa, non dissimili a un ospedale psichiatrico.
Ruolo centrale hanno le luci e la musica: si è potuto apprezzare la voce di Cassandra che ha cantato a cappella; il ricordo poi del massacro del 1976 di Kingsmills nell’Irlanda del Nord, quando uomini armati hanno fermato un minibus che trasportava 11 operai di cui 10 protestanti e 1 cattolico, trucidando i primi e salvando il secondo, si è avuto con la riproduzione dei colpi di mitra a coprire la musica sulla quale hanno “ballato” simulando la strage tutti e 12 gli attori in scena.
Infine, bella resa del dialogo continuo tra Clitennestra e le ombre in apertura e chiusura della tragedia, reso dalle sagome degli attori, che si muovono lentamente dietro una quinta opaca irradiata da una luce fredda.

Crediti foto: Lia Pasqualino.

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