“Arti e Spettacolo incontra Sanremo”, Edwyn Roberts: «Vivo il mio lavoro con quotidiana meraviglia»

Sanremo. In vista della 74ª edizione del Festival di Sanremo riprendiamo la nostra consueta rubrica dedicata agli autori dei brani della kermesse, nel tentativo di mettere in luce la vera protagonista della manifestazione ovvero la canzone. In particolare, oggi incontriamo Edwyn Roberts che quest’anno è autore e produttore di “Onda alta”, interpretata da Dargen D’Amico, “Capolavoro” interpretata da “Il Volo” e “Ma non tutta la vita” interpretata dai Ricchi e Poveri. Il compositore, classe ’92, ha messo in mostra il suo talento nella scuola di “Amici di Maria De Filippi” nel 2013. Nello stesso anno è stato tra i 60 finalisti nella sezione “Nuove Proposte” del Festival. Poi è ritornato all’Ariston come autore nel 2019 con “L’ultimo ostacolo”, interpretato da Paola Turci, nel 2020 con “Fai rumore” interpretato da Diodato e, nel 2022, con “Dove si balla” interpretato da Dargen D’Amico.

Benvenuto Edwyn e grazie per inaugurare, per quest’anno, la nostra rubrica. In quest’edizione sei in gara con “Onda alta” di Dargen D’Amico, “Capolavoro” de Il Volo, “Ma non tutta la vita” dei Ricchi e Poveri. Ci puoi descrivere questi brani e, in particolare, la loro genesi?

In verità è difficile parlare di questi brani in poco tempo, però posso dire che il minimo comune denominatore dei tre può rintracciarsi nell’intenzione di portare sul palco qualcosa di diverso, anche per gli stessi artisti. La canzone di Dargen si fonda su un sodalizio consolidato che ci ha permesso di lavorare con più leggerezza, dopo che con “Dove si balla”, che all’epoca rappresentava una scommessa, ci siamo tolti delle piccole soddisfazioni. “Capolavoro” è un pezzo che nasce due anni fa e, anche con Stefano Marletta e Michael Tenisci, abbiamo voluto realizzare una canzone che fosse per certi aspetti scomoda ma che, allo stesso tempo, mantenesse l’epicità e la coralità per cui Il Volo è celebre in tutto il mondo. Per quanto riguarda i Ricchi e Poveri, siamo riusciti ad approcciare al brano con la giusta di dose divertimento, stemperando così il rischio di un’eccessiva ansia da prestazione, considerata l’importanza del gruppo.

Sei soddisfatto delle prove?

Sono molto soddisfatto, le sto seguendo tutte con attenzione perché quest’anno sono autore, produttore ed anche arrangiatore dei tre brani. Ho maggiori responsabilità rispetto al passato e, pertanto, occorre lavorare pure sulla resa sonora oltre che sulla scrittura.

Con “Fai rumore”, nel 2020, con Diodato avete trionfato e quest’anno ritorni con diverse canzoni. Secondo te, qual è la vittoria per un autore al Festival?

Posso dire che aver raggiunto il primo posto in quell’edizione per me ha rappresentato una vittoria doppia. “Fai rumore” è una canzone molto aperta, romantica, con connotazioni specificamente ballad e quell’anno sembrava che non ci fosse più spazio per questo genere. È stato anche il riconoscimento di un mio cavallo di battaglia: infatti, fin da quando ho iniziato questo lavoro, ho sempre dato moltissima importanza alla melodia.

Alla luce della tua esperienza, il brano è scritto in funzione di una possibile partecipazione al Festival?

Allora, devo premettere che non si è mai certi di prendere parte al Festival fino a quando non sono comunicati i nomi degli artisti e, come puoi immaginare, si vive questa attesa con tensione. In linea generale, nel momento in cui si decide di provare a portare il brano all’Ariston si scrive dando il massimo, senza risparmiare nessuna energia, come se si partecipasse con certezza alla manifestazione e realizzando un lavoro che possa veramente colpire. Poi, se non si riesce, si può sempre tentare nuovamente l’anno successivo.

Da un punto di vista compositivo, considerato che il Festival della canzone italiana attraversa più generazioni, tendi a creare una parte musicale indirizzata a tutte le età o a parlare prevalentemente alla tua generazione?

Per quanto riguarda Sanremo, credo che considerata la risonanza offerta dalla televisione sia impossibile prevedere la percezione che il pubblico avrà del brano. In questo senso, il Festival è davvero magico. Soltanto nei tre minuti di esibizione dell’artista è possibile comprendere se la “regola” iniziale è confermata o, al contrario, crolla. Dal momento dell’esibizione il brano diventa del pubblico e rappresenta la risultante dei milioni di stati d’animo degli spettatori a casa e di quelli presenti in sala. Tutto questo rende il nostro lavoro molto emozionante.

Oggigiorno è diffusa l’idea secondo cui il successo sia connesso ad una produzione massiva dei brani. È vero che è necessario scrivere tanto per “restare” nella memoria del pubblico?

Anche in questo caso non credo che esista una regola, almeno nel mio caso. Personalmente, mi affido tanto alla magia di questo lavoro e ritengo che non ci sia una formula valida sempre, perché scrivere le canzoni è un’arte e arte significa anche non riuscire. Poi naturalmente, nel tempo, si affina la professionalità, ma a mio avviso resta sempre l’istinto. Per fare degli esempi concreti rispetto ai brani di quest’anno in gara a Sanremo, “Ma non tutta la vita” è venuta fuori in un’ora e per intero. Su “Capolavoro”, invece, abbiamo lavorato per molto tempo, in particolare alla ricerca del giusto ritornello. “Onda alta” ha avuto un’elaborazione molto lunga, di quasi un anno. Dunque, a volte i pezzi arrivano subito ed altre volte la ricerca è più meticolosa.

In conclusione, ci puoi parlare dei tuoi futuri progetti?

Devo dire che vivo il mio lavoro con quotidiana meraviglia e poi, in modo simile a quanto accade nelle relazioni personali, sento il bisogno di innamorarmi di qualcosa per sentire di farne parte. Al momento, mi godo i risultati raggiunti e per il futuro ho molta fiducia nel mio percorso. È stato faticoso, per cui credo sia anche giusto riconoscere il momento in cui è opportuno rallentare, raccogliere le energie per poi scrivere nuova musica.

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