Caserta. Alla Feltrinelli di Caserta, così come in tutte le librerie d’Italia, dal 13 maggio sugli scaffali spicca un libro: “Quel posto che chiami casa”, firmato da Enrico Galiano, il professore “in stile Attimo Fuggente”.
Pubblicato da Garzanti, “Quel posto che chiami casa” conferma, ancora una volta, la straordinaria capacità dell’autore di raccontare la fragilità umana con una penna intensa, colma di sensibilità e speranza. Mai banale, mai scontato: ogni pagina è un crescendo di emozione.
La protagonista del romanzo è Vera, una ragazza che dalla tragica scomparsa del fratello Cè, avvenuta quando lei aveva solo quattro anni, ha smesso di vivere davvero. Non per sé stessa ma per gli altri. Per i suoi genitori, per soddisfare aspettative che non le appartengono, per inseguire traguardi imposti non dal desiderio ma dalla pressione. Vera vive nell’ombra di Cè, nel mito che si è costruita di lui, in quell’aura di perfezione irreale che lo avvolge anche dopo la morte.
A un certo punto, Vera inizierà a essere accompagnata ogni giorno da una voce prepotente e presente. La incalza con battutine ironiche, le suggerisce pensieri “buffi” ma profondi e inizia a indicarle la strada che la condurrà a una verità a tratti dolorosa ma necessaria.
Intorno a lei c’è Gin, la migliore amica, che cerca di farla sentire capita, di farla sentire meno “diversa”.
Un giorno, spinta da un impeto quasi irrazionale, seguendo una coccinella entra in una clinica. È lì che incontra “i suoi ragazzi”, che le illumineranno la vita, facendole conoscere la vera “Vera”. Tra loro un ragazzo misterioso che sembra capirla profondamente e che le insegna una cosa fondamentale: Vera non è pazza. È solo viva, e vivere a volte fa rumore dentro.
“Quel posto che chiami casa” è un romanzo di formazione, un viaggio che ha come destinazione noi stessi. È una storia che spinge a scavare dentro al proprio io, proprio come la protagonista, riuscendo a comprendere i segreti che ci portiamo dentro, le paure taciute, le verità che ci nascondiamo, le vere aspirazioni che abbiamo, le emozioni autentiche. Non ciò che raccontiamo o mostriamo agli altri ma ciò che custodiamo gelosamente dentro di noi, nel nostro cuore, proprio come in una cassaforte.
Uno dei temi centrali è quello della perdita, esperienza comune ma sempre profondamente personale. Galiano sottolinea quanto, a volte, si possa sentire più vicina una persona che non c’è più rispetto a chi ci sta accanto fisicamente.
“Sei ancora qui, anche se non ci sei più. Soprattutto da quando non ci sei più. Ma questo lo so solo io. È il mio più grande segreto”.
Vera all’inizio è una bambina, poi un’adolescente, infine una donna, e Galiano riesce a descrivere con grande maestria tutti i momenti della sua vita, con le emozioni caratteristiche di ogni età. L’innocenza dell’infanzia, il sentirsi inadeguati e l’amore dell’adolescenza, l’irresolutezza, la paura, le scelte sbagliate dei 20 anni.
Tutto ciò relazionato sempre al fratello Cè, l’ago della bilancia, il condottiero, colui attorno cui tutto ruota all’interno del libro. È un percorso di introspezione, Vera si conosce pagina dopo pagina e i lettori si ritrovano in lei, che diventa specchio di chi fa fatica a trovare il proprio posto nel mondo, di chi è fragile, diverso, sensibile.
Galiano con la sua penna riesce a dare dignità a quelle emozioni che spesso vengono sottovalutate o taciute, tessendo le fila di un racconto in cui la fragilità non è debolezza ma è simbolo di profondità, simbolo di vita.
Lo stile di Galiano è immediato e profondo: alterna frasi semplici e fulminanti a pensieri più poetici e riflessivi. I dialoghi sono credibili, autentici, mai forzati. La voce della coscienza che parla a Vera è uno stratagemma narrativo originale, che arricchisce il racconto di ironia e introspezione, rendendolo una lettura profonda per gli argomenti trattati ma mai pesante. Il tutto condito con gli euforismi attribuiti a Cè, che scandiscono la divisione in capitoli e sono inseriti anche all’interno della narrazione. Pensieri come: “Più insegui un desiderio, più scopri che era lui a inseguire te e tu a scappare da lui”.
“Quel posto che chiami casa” è uno di quei libri da che restano nel cuore, che si ripongono in libreria ma che ogni tanto si sfogliano, per sentirsi accolti, cullati, capiti da pagine e pagine di parole che ti prendono per mano. È un libro adatto a tutti, dagli adolescenti ai più anziani, è per chi si sente perso, per chi si è sentito inadeguato, per chi si sente solo, per chi viene definito pazzo e in realtà è solo più emotivo, perché “bisogna essere proprio matti per non impazzire mai” (pensiero di Cè numero 100), per chi ha trovato la propria strada dopo tanto e per chi non riesce ancora a farlo e ha bisogno che qualcuno gli dica che, prima o poi, tutti diventano Vera. Tutti riescono a trovare loro stessi.
Enrico Galiano in questo libro si mette a nudo, ci rende partecipi del suo dolore e in questo modo guarisce anche un po’ il nostro. È una storia di accettazione, di trasformazione, quella che tutti devono compiere per raggiungere il proprio “posto che chiamiamo casa”, non un luogo fisico ma la consapevolezza di noi stessi, la nostra stessa conoscenza, il sentirsi a nostro agio con i nostri pensieri e le nostre emozioni. La cosa più difficile ma anche quella che ci fa sentire vivi.