Napoli. Domenica 2 febbraio Sala Assoli ha chiuso la rassegna “We Love Enzo” con un omaggio di Toni Servillo all’amico attraverso la lettura di alcuni brani di “Partitura”. L’evento annunciato qualche giorno prima e andato subito sold out.
In un paio di occasioni, la commozione mista alla tristezza ha impedito a Servillo di continuare, perché ad ogni riga la mente è stata sopraffatta dai ricordi legati a quel laboratorio (parola tanto invisa all’attore), ossia a quel periodo di studio e preparazione con l’autore in vista della messa in scena, per meglio comprenderne il testo.
E come i grandi Servillo ha trasformato quelle sospensioni nell’incedere in un’occasione per regalare al pubblico degli aneddoti personalissimi, che hanno reso ancora più bello e interessante ascoltare il seguito.
Era il 1988 quando lui e Moscato si erano intercettati e si erano resi conto di come fossero circondati da “troppo teatro napoletano che si ammirava compiaciuto” e di come fosse necessario qualcosa di completamente nuovo, scevro anche nella lingua dalle “incrostazioni piccolo-borghesi” presenti in quella “caotica Bisanzio del Terzo Millennio”, ossia nella Napoli degli anni ’80.
Ha dato vita così Moscato per Servillo a quel poema drammatico unico nel suo genere, “uno dei più alti esempi della letteratura napoletana contemporanea”, in cui il ricorso alla lingua napoletana avviene in maniera originale, mischiandosi con l’italiano, il francese e arricchendosi di invenzioni linguistiche unite a storpiature, a neologismi, a quelle che lui chiamava “porzioni di scrittura già vissuta”.
Numerosi sono infatti sia i riferimenti ai grandi – come Basile, Viviani, Patroni-Griffi, Dante e Leopardi – ma anche le rielaborazioni grazie alle sue doti attoriali e quindi la capacità di presagire come sarebbe stata la messa in scena.
Pensiamo al passo di “Partitura” quando dice: “S’agapò! S’agapò!” gli “aveva suggerito di sospirarmi Rainer / a perfido spregio del mio amore per la lingua e il mito dei greci / “S’agapò, pauetà, s’agapò” / e mi venne dietro oltre la porta / oltre la risata delle sue grasse amiche e di Rainer / gli occhi intontiti dal rosolio e dal fumo dei sig-ri/ E questa esclamazione di sfottente, indecente amore / “S’agapò”.
Perché in Moscato la lingua, prima ancora del gesto, ha una funzione ora rivoluzionaria ora di riscatto di coloro che popolano i bassifondi partenopei.
In “Partitura” egli assume le fattezze di Giacomo Leopardi in giro per quel “dedalo di vicoli e viuzze, tutte in salita, verso un monte” che è la Napoli di Enzo Moscato, quella dei Quartieri Spagnoli in cui lui è nato e ha vissuto, che è la vera protagonista, capace di esercitare sentimenti ambivalenti e contrastanti fatti di attrazione/repulsione, lei che é “janàra, brutta, sporca, lurida, chiavica città” dalla quale alla fine si sente respinto, risultando il suo status immutato rispetto al momento iniziale: “solo, comm’è sempre stato – / da straniero, comm’è sempre stato”.
La voce di Servillo è riuscita a rendere quell’ambivalenza di cui tutta l’opera di Moscato è pregna, sempre in bilico tra una narrazione popolare e una cultura aulica, in una tensione continua di dolore e disperazione dell’uomo.
Crediti foto: Mario Piziello.