“Madre Courage e i suoi figli”, dall’opera di Brecht

Napoli. Brecht scrisse “Madre Courage e i suoi figli” quando era già in esilio, fra il 1938 e il 1939, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. Un’opera di contraddizioni e antinomie, a partire dalla principale: Madre Courage si sforza di proteggere i suoi figli dalla guerra, grazie alla quale lei stessa vive e guadagna, ma li perde inesorabilmente uno dopo l’altro.
La donna e il suo carro sono immediatamente emblematici di questa distorsione esclusivamente umana, dove la paura della morte si sconfigge entrando in una economia di morte. Ogni volta che uno dei suoi figli viene a mancare, Madre Courage è sempre occupata nei suoi affari e nei suoi commerci. L’identità femminile in Courage si scardina dai modelli, dal dover corrispondere ad aspettative già date, dall’obbligo di una responsabilità materna infinita ed “eterna”, aprendosi alla possibilità di una figura forse sgradevole, forse sospesa sulla soglia tra bene e male, e, in questo senso, forse incompiuta.
Nel testo c’è un valore quasi profetico: Brecht, nutrito anche dai ricordi della Grande Guerra, compone un’opera definitiva sulle guerre di tutti i tempi, rimandandoci all’idea dell’apocalisse: Courage si muove in un mondo che già non c’è più; eppure i riti sociali (il conflitto, il potere, il commercio) rimangono e si rinnovano.
In un tempo distopico, dove l’essere umano è capace di abituarsi addirittura alla sua stessa fine, Madre Courage è sopravvissuta fra i sopravvissuti.
Recuperando ed elaborando i materiali riguardanti la composita partitura di “Madre Courage e i suoi figli” a partire dall’edizione del 1941, comprese le fonti che hanno ispirato i temi principali e le nove canzoni previste dal testo, Paolo Coletta dirige Maria Paiato in una nuova versione del ca-polavoro brechtiano dalle forti componenti musicali, dove parola, corpo e musica si fondono per ritrarre un’umanità che somiglia così tanto al nostro presente.
Il capitalismo e la guerra come dispositivo del sistema capitalista concepito per il profitto di pochi, è il tema principale su cui ruota il testo. Pertanto, nonostante sia costantemen-te in cerca di ottenere un profitto dal proprio commercio, Madre Courage è destinata a perde-re: solo chi sta in cima a tale sistema ha una reale possibilità di beneficiarne. Tutti i personaggi di quest’opera cercano di ottenere il loro guadagno, grande o piccolo che sia. Ed è indicativo che nel testo originale tedesco il verbo “kriegen” sia spesso ripetuto, ora col significato di “fare la guerra” ora con quello di “ottenere”. Ma le classi più basse, gli ultimi, la “piccola gente” — dal sergente e dal reclutatore che prestano il loro servizio paralizzati dal freddo in un campo all’inizio del testo, ai contadini che seppelliscono alla fine la figlia di Madre Courage — perdono tutti, in guerra. La guerra porta dolore, povertà, fame e distruzione a tutti, nessuno escluso. E Madre Courage pur beneficiandone temporaneamente, quando la guerra è al culmine della sua attività, alla fine perderà tutto anche lei. Persino Yvette, la puttana del reggimento, l’unica la cui vita sembrerà essere migliorata dal punto di vista finanziario per aver sposato un esponente della classe superiore (un vecchio colonnello), ne uscirà sconfitta per aver perso la propria umanità.

La guerra rende le virtù umane fatali a chi le possiede. All’inizio dell’opera, Madre Courage racconta ai suoi figli i loro destini e, così facendo, presagisce loro che moriranno tutti a causa delle loro rispettive virtù: Eilif per il coraggio, Schweizerkas per l’onestà e Kattrin per la gentilezza. Nelle ultime scene, poi, canterà con il cuoco la celeberrima “Canzone di Salomone”, in cui quattro Grandi Anime della Terra muoiono a causa delle loro vir-tù: Salomone per la saggezza, Giulio Cesare per il coraggio, Socrate per l’onestà e San Martino per la gentilezza. Non è un azzardo, quindi, paragonare queste quattro anime rispettivamente a Madre Coraggio e ai suoi tre figli. Per contro, quindi, Brecht sembra dirci che, in tempo di guerra, le qualità che salvano non possono che essere la vigliaccheria, la stupidità, la disonestà e la crudeltà.

La religione è solo un piccolo aiuto, durante la guerra. Nell’opera la religione è rappresentata dalla figura di un cappellano mordace, ipocrita e lascivo che cambia la sua posi-zione all’occorrenza e, a seconda del vincitore tra cattolici e protestanti, è pronto a rispolverare i paramenti degli uni o degli altri. Ma il ruolo della religione è anche incarnato dai contadini, che, alla fine del testo, quando l’esercito cattolico si prepara ad attaccare la città addormenta-ta, non prendono altra iniziativa che cominciare a pregare affinché Dio intervenga. Natural-mente sarà solo attraverso gli sforzi di Kattrin, che salirà su un tetto per dare l’allarme batten-do un tamburo, che i cittadini saranno salvati.

La virtù e la bontà sono messe a tacere durante la guerra. Il mutismo di Kattrin (psicologicamente traumatizzata dall’essere stata abusata da un soldato quando era pic-cola) è altamente simbolico nel testo. Ma molti altri silenzi sono significativi nel dramma: il ri-fiuto di Madre Courage di lamentarsi dopo la “Canzone della Grande Capitolazione”; la nega-zione della propria fede da parte del Cappellano quando arriva l’esercito cattolico; e il silenzio di Madre Courage quando il cadavere del figlio è portato davanti lei per l’identificazione. Per contro, Kattrin diventa il personaggio più “rumoroso” ed eloquente, quando, alla fine, si sacrifi-cherà per svegliare gli abitanti della città che dorme. La sua ricompensa sarà d’essere fucilata e quindi seppellita da quegli stessi contadini, mentre sua madre ricomincerà il suo commercio infinito.

Maternità e femminile negativo: esiste un chiaro conflitto tra il ruolo di “madre” di Courage e il suo ruolo professionale di “affarista”. Sebbene affermi di star lavorando per sostenere i suoi figli, è la sua negligenza a causare la loro morte; ha avuto sicuramente più partner, e di quelle relazioni i figli sono i sottoprodotti. Ma sembra non aver mai amato nessun uomo. Eppure Ma-dre Courage, come tutte le figure iconiche, è portatrice di qualcosa di non ancora visto, non an-cora disvelato. Incontrarla fa emergere in primo piano il tema della libertà femminile, in una figura di donna e di madre che persegue il suo desiderio di esprimersi, all’interno dei vincoli in cui si trova a vivere: la guerra, i figli, il danaro come mezzo (che è anche un fine). Dando vita a un personaggio segnato dall’intima resistenza a non voler essere riscattata – come invece av-viene per Medea, ad esempio, grazie alla tragicità del suo gesto – una donna che vuole “solo” vivere la sua vita, non negando il potere della propria femminilità. Che si traduce in primis nell’essere madre, con l’obbligo a una responsabilità infinita ed “eterna”, da Courage esercitata in modo territoriale, con tutta la sua attitudine al possesso, non escludendo la crudeltà insita in questo “avere”. Courage, dunque, espressione di un “femminile negativo”, non interessato né a far emergere un’inesistente positività del polo maschile, né a immolarsi per la speranza di una futura salvezza. La sua vita è qui e ora: e lei è dura e concreta, e non è diversa dalle brutture da cui è circondata.
Lo sfondo della guerra, il paradosso di un evento da cui non ci si evolve: è questa la tragedia di una violenza dissolvente il potere della Madre generatrice. Per contro, è in Kattrin che osser-viamo il risveglio sessuale e il desiderio di un marito e dei bambini. Desideri ostacolati dal suo handicap, dalla deturpazione che l’ha segnata sul volto e dalle azioni della madre. Tuttavia, gli istinti materni della ragazza sono forti, portandola a rischiare la vita per sottrarre alla morte un bambino da una casa in rovina, fino a sacrificarsi per salvare (ancora) bambini in pericolo di vi-ta nella città addormentata.

La fame è un altro tema ricorrente nel testo. La fame della guerra è insaziabile. Il cuoco cerca di “alimentare la guerra”, ma non c’è mai abbastanza cibo e scapperà quando il cibo fini-rà del tutto. I soldati saccheggiano le fattorie contadine, uccidendo e straziando chiunque, pur di nutrire gli eserciti predoni. L’opera si apre con una conversazione su quanto sia difficile re-clutare abbastanza soldati: l’appetito della guerra per gli uomini supera sempre l’offerta. Il cuoco e l’esercito intero alimentano l’appetito della società per la guerra. Alla fine non resterà che un paesaggio desolato e il carro di Madre Courage rimarrà vuoto.

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