Roma. Al Ninfeo di Villa Giulia a Roma l’acqua torna a scorrere dopo decenni di silenzio. È il suono di una rinascita, non solo architettonica ma anche simbolica, che accoglie il linguaggio ibrido e poetico di Keita Miyazaki, artista giapponese capace di fondere rovine industriali e delicate pieghe di carta in sculture che respirano.
Con la mostra “The Eternal Duality – Là dove scorre l’acqua, tra storia e rinascita”(10 ottobre – 2 novembre), Miyazaki ha inaugura un dialogo profondo tra Oriente e Occidente, passato e presente, in cui l’acqua diventa ponte tra memoria e futuro. In questa intervista l’artista racconta la genesi del progetto, il rapporto con i materiali e l’importanza di “ridare vita” alle cose, ai luoghi e alle emozioni.
Il titolo della mostra,“The Eternal Duality — Where Water Flows Between History and Rebirth”, suggerisce un equilibrio tra opposti. Qual è, secondo lei, la chiave per creare un dialogo tra arte contemporanea e patrimonio storico?
Credo sia importante intrecciare armonia e dissonanza. I luoghi storici possiedono già una forza magnetica, una capacità naturale di accendere l’immaginazione delle persone. Quando li visitiamo, cerchiamo di ricostruire mentalmente il paesaggio di un tempo. L’intervento dell’arte contemporanea aggiunge un nuovo strato di percezione, una lente diversa attraverso cui osservare il mondo. Creare un leggero scarto cognitivo — una dissonanza che convive con l’armonia dello spazio — significa dialogare con la storia e, allo stesso tempo, aprire la possibilità di immaginare un mondo nuovo.
Esiste un parallelo affascinante tra il Ninfeo, recentemente restaurato, e i materiali industriali che nelle sue opere trovano nuova vita. È come se la mostra incarnasse un doppio processo di rinascita: storico e materiale. Cosa significa per lei “ridare vita” a un luogo, a un oggetto o a un ricordo?
Il primo passo è rispettare e custodire ciò che si ha di fronte. Solo così si può coglierne la forza, la storia, le trasformazioni e la bellezza. Per me “ridare vita” significa entrare in relazione con un oggetto fino a farne emergere la bellezza intrinseca — o quella che rischia di andare perduta.
L’esperienza del terremoto e dello tsunami del 2011 in Giappone continua a influenzare il suo modo di vedere il mondo e di creare arte? In che modo, in particolare, ha influenzato il processo creativo di questa mostra? Cosa l’ha ispirata?
Il disastro del 2011 è stato un punto di svolta fondamentale per me. Mi ha insegnato che la natura può essere infinitamente più grande della comprensione umana e che la civiltà può crollare con estrema facilità. Da quell’esperienza ho compreso l’importanza di pensare in modo costruttivo a come l’uomo possa, o debba, entrare in dialogo con i materiali e gli oggetti in futuro. Lo spazio di questa mostra non è la rovina di una civiltà perduta, ma un sito storico carico di forza, permeato di sapienza umana. Il modo in cui possiamo proseguire e rinnovare quella sapienza attraverso i materiali e gli oggetti ha influenzato profondamente il mio lavoro per questa esposizione.
Le sue sculture incorporano suoni della vita quotidiana — jingle, rumori urbani, voci. Perché il suono è così importante nel suo linguaggio artistico?
Storicamente l’arte si è concentrata quasi esclusivamente sulla vista ma oggi il suo campo d’azione si sta ampliando. Credo che sovrapporre un livello sonoro a uno visivo crei una risonanza psicologica capace di stimolare profondamente l’immaginazione. Così come un tubo di scappamento porta con sé molteplici significati sociali, anche i suoni che scelgo sono portatori di senso.
Tra le sculture e le installazioni esposte al Ninfeo c’è un’opera che per lei ha un significato particolare? Potrebbe descriverla attraverso il suo sguardo, raccontandone la storia e il suo legame personale?
Non esiste una gerarchia tra le opere, quindi scegliere è difficile. Ma ciò che accomuna tutti i miei lavori è la necessità di riconsiderare, ogni volta, il significato dei materiali e degli oggetti.
Che cosa vorrebbe che i visitatori portassero con sé dopo aver visitato il Ninfeo?
Per me l’essenza di un’opera d’arte è la sua apertura: non deve trasmettere un unico messaggio o un’unica interpretazione, ma restare disponibile a molteplici letture. Mi piacerebbe che i visitatori provassero qualcosa di personale, che la mia opera potesse stimolare la loro immaginazione.
La mostra di Roma rappresenta il primo capitolo di un percorso che proseguirà a Imola e Venezia. Se dovesse descrivere l’esposizione di Villa Giulia con una sola parola quale sceglierebbe e perché?
Acqua d’origine. Questa espressione racchiude l’idea che Roma non sia solo il punto di partenza di un ciclo di mostre, ma anche un luogo di profonda riflessione sul legame tra l’uomo e l’acqua.
Crediti foto: Roberto Apa.


