Gabriele Lavia interpreta “I giganti della montagna” di Pirandello

Torino. Al Teatro Carignano mercoledì 13 novembre 2019, alle ore 20.45, debutta “I giganti della montagna” di Luigi Pirandello, diretto e interpretato da Gabriele Lavia. In scena con lui un cast imponente di più di venti interpreti (attori, ma anche mimi, danzatori e musicisti): Federica Di Martino, Clemente Pernarella, Giovanna Guida, Mauro Mandolini, Lorenzo Terenzi, Gianni De Lellis, Federico Le Pera, Luca Massaro, Nellina Laganà, Ludovica Apollonj Ghetti, Michele Demaria, Simone Toni, Marìka Pugliatti, Beatrice Ceccherini, Luca Pedron, Laura Pinato, Francesco Grossi, Davide Diamanti, Debora Rita Iannotta, Sara Pallini, Roberta Catanese, Eleonora Tiberia.
Le scene sono di Alessandro Camera, i costumi di Andrea Viotti, le musiche di Antonio Di Pofi, le luci di Michelangelo Vitullo, le maschere di Elena Bianchini, le coreografie di Adriana Borriello.
“I giganti della montagna” – prodotto da Teatro Stabile di Torino/Teatro Nazionale, Fondazione Teatro della Toscana, Teatro Biondo di Palermo – resterà in scena al Carignano per la Stagione in abbonamento dello Stabile torinese fino a domenica 1 dicembre.

Gabriele Lavia chiude la trilogia pirandelliana dopo “Sei personaggi in cerca d’autore” e “L’uomo dal fiore in bocca”. La magica opera incompiuta diventa un sogno a colori di sapore felliniano.

“Quest’opera è un abisso, una vertigine”, dice Gabriele Lavia, che dopo “Sei personaggi in cerca d’autore” e “L’uomo dal fiore in bocca” chiude un ideale trittico pirandelliano con “I giganti della montagna”, testamento artistico del drammaturgo siciliano, il suo testo più astratto e metafisico e sintesi più alta di tutta la sua poetica. Lavia incornicia la trama onirica in un allestimento che combina grandiosità scenografica e coreografica.
La storia del mago Cotrone al cospetto del mistero dell’Oltre diventa una folle, poetica sarabanda ambientata in un tempo e luogo indefiniti, tra favola e realtà, con atmosfere di sapore felliniano. Lo spettacolo è una grande (utopistica) celebrazione del teatro come spazio salvifico, libero e indipendente, ultima roccaforte dell’umanità, in una società distratta e svuotata di principi e ideali.
Una compagnia di teatranti girovaghi, sperduti e disperati, arriva alla villa detta La Scalogna dove vive il mago Cotrone, che dà loro rifugio. Per Lavia Cotrone è, sì, l’alter ego di Pirandello (morente), ma anche di se stesso, colui che vive rifugiato o emarginato nell’illusione che il Teatro possa essere il Luogo Assoluto, fuori da ogni contaminazione. La pièce è un omaggio alle magie dell’Arte, prodigi straordinari che consolano l’incompiutezza umana. E guariscono, dice Lavia, la solitudine dell’«anima sola con se stessa».

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